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BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA'

Syndicate content La Chimica e la Società
Nell’Antropocene, l’epoca geologica attuale fortemente caratterizzata dalle attività dell’uomo, la Chimica ha il compito di custodire il pianeta e aiutare a ridurre le diseguaglianze mediante l’uso delle energie rinnovabili e dell’economia circolare.
Updated: 2 days 11 hours ago

La negazione della negazione.

10 September, 2025 - 10:13

Claudio Della Volpe

Credo che Guido Barone, un nostro collega di Napoli scomparso qualche anno fa (nel giugno del 2016) mi avrebbe dato ragione per aver scelto il titolo di questo post. Guido non era solo uno scienziato, era uno scienziato che non aveva paura della filosofia e nel caso specifico della dialettica, l’idea che era alla base di parecchia della filosofia del XVIII e XIX secolo: diceva sempre Ogni cosa nel mondo ha due corni, in sostanza riconoscendo la natura complessa e contraddittoria della realtà.

La CO2, un gas naturale, su cui è basata la vita sulla Terra: contribuisce in modo determinante al mantenimento della temperatura del pianeta, serve alla fotosintesi e si trasforma nel manto verde che ricopre il pianeta, ma è anche il prodotto delle combustioni di tutti i fossili che estraiamo dalla terra e che una volta, in origine erano appunto CO2 gassosa, trasformata dall’azione delle piante e dei batteri e dalle forze geologiche.

Solo che, dato che la quantità diventa qualità (avrebbe sempre detto Guido, non io), troppa CO2 immessa in atmosfera tutta insieme produce danni enormi e si trasforma da molecola preziosa in molecola rischiosa; alcuni addirittura la confondono con le sostanze tossiche che pure si trovano in atmosfera (e questa è una sciocchezza). Il trucco, avrebbe aggiunto un altro chimico “diverso”, che amava le contraddizioni, Enzo Tiezzi, sta nel tempo; il tempo storico brevissimo in cui bruciamo, confligge con quello biologico lunghissimo in cui il ciclo del carbonio si svolge naturalmente.

Questa sarebbe la negazione, una molecola naturale preziosissima, che passando per l’azione umana diventa il suo contrario: un gas climalterante che non riusciamo a controllare più e che sta alterando la temperatura planetaria e il pH oceanico con danni enormi.

E già, direte voi, passi pure sta voglia di filosofare; ma la negazione della negazione che sarebbe?

Beh per capire questo vi ricordo un libro scritto pochi anni fa da uno di noi che pure conoscete bene, tal Gianfranco Pacchioni, che ha avuto l’ardire di proporre il titolo seguente: W la CO2. Possiamo trasformare il piombo in oro?Cosa voleva dire il Pacchioni? Dopo aver ricostruito il ruolo complesso e complicato del gas naturale Gianfranco si è messo a ricordare che da esso la chimica è in grado di ricostruire le molecole organiche originali e che dunque questo rischioso gas che troviamo ormai in relativa abbondanza (ma non gratis perché occorre estrarlo e purificarlo) in atmosfera potrebbe diventare una risorsa chimica non banale da cui ricavare, come fanno le piante, molecole utili e complesse, ritornando a giocare dunque un ruolo positivo ed utile.

Questo diede origine subito ad una discussione non banale. Un altro collega impegnato su questi temi, Nicola Armaroli criticò l’approcciò di Gianfranco; ho chiesto a GoogleAI cosa ne pensava e mi ha risposto:

Armaroli è uno scettico riguardo all’idea di Gianfranco Pacchioni di utilizzare l’idrogeno per trasformare l’anidride carbonica (CO2) in sostanze utili o combustibili. Pacchioni, autore del libro “W la CO2”, propone questa soluzione, ma Armaroli, chimico e dirigente di ricerca presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche, solleva dubbi sulla fattibilità del progetto a causa delle presunte complessità. 

Una volta tanto la pappagalla stocastica non ha allucinazioni; ci sono delle complessità nella negazione della negazione che Gianfranco ha proposto; ci vuole energia e una lunga serie di reazioni chimiche per assorbire il gas dall’atmosfera o dai siti di combustione e tramite la reazione di Sabatier, trasformarla in metano che è più facile e sicuro da stoccare sia dell’idrogeno che della stessa CO2. I costi energetici sarebbero comunque enormi e finora impianti di questo tipo non esistono.

Oggi sappiamo che certi processi si possono fare anche elettro-chimicamente, per esempio con le batterie calcogeno-CO2, che sono capaci perfino di assorbire CO2 e produrre energia contemporaneamente; qui il trucco starebbe nell’aver prima prodotto l’elemento calcogeno scelto (i calcogeni sono gli elementi del gruppo 16 o VIa o 6a) che pure ha il suo costo energetico. Sempre meglio che usare la CO2, come semplice gas che accumula energia nella transizione di fase come ha fatto l’ENI in un piccolo impianto sperimentale in Sardegna (Energy Dome), che comunque non è inutile, ma forse ha troppe limitazioni.

Però il problema rimane: come accumulare energia dalle rinnovabili e coprire le notti e i periodi invernali o comunque le irregolarità produttive inevitabili?

Ho scritto varie volte che ci sono solo due modi: o si costruisce una unica rete mondiale dell’elettricità, come sognava Buckminster-Fuller, sfruttando il fatto che un emisfero è sempre al Sole e un emisfero è sempre in estate (facile da dire ma difficile da fare soprattutto per motivi politici al momento) oppure costruire in ogni paese o blocco di paesi grandi accumuli di energia, la cui scala deve essere gigantesca che dovrebbero avere come dimensione tipica il TWh (al momento non ne abbiamo nessuno) e non sapremmo nemmeno come costruirli. I nostri impianti di accumulo italiani, basati sull’idroelettrico, in un ciclo unico di carica e scarica, in tutto stoccano 0.1TWh; ossia per un ciclo singolo di carica e scarica potrebbero fornire energia per qualche ora a potenza piena, non per giorni o settimane.

La negazione della negazione, proposta da Gianfranco è una possibilità, passando per la reazione di Sabatier o casomai usando l’ammoniaca o qualche altro sistema “semplice” e scalabile; nonostante le inevitabili perdite quella rimane una possibilità.

Certo anche fare batterie elettrochimiche giganti, in flusso o basate su ioni sodio o litio o con metodi non ancora inventati o scalati a dimensione industriale è possibile; il fatto è che non abbiamo molto tempo; la temperatura è GIA’ aumentata di oltre 1.5°C sul livello medio dell’inizio del periodo della Rivoluzione industriale (XVIII -XIX sec.); non possiamo basarci su cose che non esistono ancora, non ne abbiamo più il tempo; se no faremmo la fine di chi continua a sognare la fusione nucleare o le centrali da fissione di generazione n+1; noi siamo Chimici e di solito siamo legati alla “materia bruta” (quella di Levi) e teniamo fede ai patti.

Inoltre abbiamo qualche responsabilità in merito: siamo stati proprio noi a perfezionare le combustioni portandole al livello attuale; e mi piace ricordare che pure lì abbiamo scoperto una negazione della negazione: la fiamma è il simbolo delle combustioni storiche (che a loro volta distruggono il combustibile di partenza e dunque lo negano); beh si è scoperto che in realtà la fiamma non aiuta la combustione ad essere efficiente e l’abbiamo abolita, si è visto che le migliori e più efficienti combustioni sono quelle senza fiamma, flameless. I processi flameless, che aboliscono le fiamme, sono più efficienti di quelli con le fiamme, li negano e li superano. Che ve ne pare?

Bella rivincita per Hegel e gli altri che hanno sviluppato la dialettica (e non pensate solo a Marx ma anche a tanti scienziati della Natura come JD Bernal, R Levins o JBS Haldane, R Lewontin e SJ Gould e tanti altri che non ho il tempo di ricordare).

Ed anche per chi come me ha passato un anno di liceo a leggere la Introduzione alla Fenomenologia dello Spirito. Secondo me Guido se la sta ridendo dovunque sia.

Luce e benessere.

6 September, 2025 - 08:39

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Da chimico ho sempre rispettato il ruolo della luce nei processi biologici che regolano la nostra vita. Questo rispetto si è trasformato in interesse per la fotochimica soprattutto riferita alla fotocatalisi ed alla capacità di alcuni composti semiconduttori di esercitare all’interno di questo processo un ruolo fondamentale di agenti foto-catalizzatori.

Tale ruolo è strettamente correlato alla capacità di alcune radiazioni luminose di promuovere un elettrone dalla banda di valenza a quella di conducibilità esaltando il passaggio di un composto isolante nella categoria dei conduttori. Partendo da questi dati e dalla analisi completa di queste reazioni i cui prodotti secondari sono radicali liberi dell’ossigeno si resta affascinati dal confronto diretto con quanto avviene nel corpo umano.

La luce è essenziale per la vita umana perché regola il nostro ritmo circadiano, influenzando il sonno e l’umore attraverso la serotonina e la melatonina, il primo ormone del benessere, il secondo ormone del sonno.

La luce stimola inoltre la produzione di vitamina D, importante per la salute di ossa e cervello. La luce naturale migliora le prestazioni cognitive e la concentrazione, mentre la luce artificiale può svolgere un ruolo nel trattamento di disturbi come la depressione stagionale e la sindrome del tramonto.

Oltre a benefici fisici, la luce ha un forte valore simbolico, rappresentando la conoscenza, la verità e la salvezza. Nella filosofia infatti la luce è spesso associata alla conoscenza e all’intelletto, guidando l’essere umano verso la verità e la comprensione del mondo. 

La luce naturale regola il ciclo sonno-veglia, ma un’esposizione eccessiva alla luce, soprattutto a quella artificiale notturna, può alterare questo ritmo, riducendo la produzione di melatonina e peggiorando la qualità del riposo. La luce naturale favorisce migliori prestazioni in termini di concentrazione, memoria e reattività. L’uso di luci brillanti può essere utile per i malati di demenza, contribuendo a ridurre i sintomi depressivi e il deterioramento cognitivo.

L’eccessiva luce artificiale, soprattutto nelle città, può alterare i ritmi biologici, portando a un aumento delle ore di sonno più tardive e a disturbi del sonno. Da quanto ora detto emerge, come spesso avviene discutendo di fenomeni naturali, che anche rispetto al ruolo della luce mondo animale e mondo minerale, che sembrano così lontani fra loro, in effetti lo siano molto meno di quanto sembri.

Promozione di un elettrone e produzione di un ormone quanto sono sconnessi e distanti??

Consultati:

Luce e benessere: l’influenza dell’illuminazione | Freelight https://share.google/VvJ3IZKbGEsHM097g 

Giulia Fabriani, Storia della luce, Il Saggiatore, 2024

https://www.ilsaggiatore.com/libro/storia-della-luce

Il mistero dello zolfo nello spazio

2 September, 2025 - 08:10

Diego Tesauro

Lo zolfo è uno degli elementi essenziali negli esseri viventi, presente nei minerali sulla crosta terrestre sia come solfuro che come solfato, oltre che allo stato nativo, e le cui proprietà sono state ampiamente trattate in un post alcuni anni fa. Ma come viene prodotto lo zolfo nell’universo e qual è la sua presenza nello spazio?

La nucleosintesi dello zolfo avviene principalmente per fusione di un nucleo alfa (cioè un nucleo di 4He) con carbonio e ossigeno attraverso la formazione di neon, magnesio e silicio. Il processo richiede alte temperature, per superare la barriera di repulsione elettrostatica dovuta all’elevata carica positiva dei nuclei (si ricorda che lo zolfo ha un nucleo con 16 protoni). Queste temperature vengono raggiunte negli strati più interni, vicino ai nuclei di stelle massicce con più di 8 masse solari. Questo processo avviene nelle fasi terminali dell’evoluzione stellare, poco prima che queste stelle massicce diano luogo ad un’esplosione di supernova di tipo II, espellendo molto del materiale processato nello spazio. Si ritiene quindi che l’abbondanza di tutti gli elementi più pesanti, ma prodotti per fusione nucleare nelle stelle massicce, segua all’incirca lo stesso comportamento durante l’evoluzione chimica galattica.

Lo zolfo gioca a questo punto un ruolo importante nella tracciatura dell’evoluzione chimica della Via Lattea e delle galassie esterne, soprattutto quelle con elevato red shift, cioè quelle molto lontane, quindi che sono nelle prime fasi temporali dell’universo. Tuttavia, le variazioni di abbondanza nella Galassia sono ancora poco chiare perché il numero di misurazioni dell’abbondanza di zolfo disponibili è attualmente piuttosto limitato. In particolare le quantità rilevate nelle nubi molecolari fredde, dalle quali ricordiamo si formano le stelle per collasso gravitazionale, fino ad oggi sono circa mille volte inferiori rispetto a quelle previste dai modelli che lo pongono come il decimo elemento più abbondante nell’universo.

Le osservazioni acquisite spettroscopiche recentemente anche con strumenti, come il telescopio spaziale James Webb (JWST), nella nebulosa molecolare TMC1 (Figura 1) mostrano la presenza di elementi quali l’ossigeno, carbonio o azoto. Ma per lo zolfo si rileva una quantità estremamente ridotta.

Figura 1. Nebulosa molecolare TMC1 situata nel braccio di Orione della Via Lattea (al quale appartiene anche il Sistema Solare) e visibile nella costellazione del Toro, distante dal Sistema Solare 460 anni luce. In questa nebulosa sono state ritrovate moltissime molecole, anche organiche, a partire dagli anni ottanta. E’ sede attualmente di formazione stellare, pertanto è possibile osservare varie tipologie di stelle che sono nelle fasi iniziali della loro evoluzione.

Ma in quali forme molecolari ci si aspetta di trovare lo zolfo?

Dal momento della rilevazione della prima molecola contenente zolfo interstellare, il monosofuro di carbonio (CS) nel 1971, sono state identificate circa 40 molecole contenenti zolfo nel mezzo interstellare (ISM). Nella fase gassosa dell’ISM, queste molecole vanno da semplici molecole triatomiche, come il solfuro di idrogeno (H2S), a molecole più complesse come i tioli (RSH), i tioaldeidi (HCSR), i tioceteni (RCCS), i tioacidi (HSOCR) e le tioammidi (RCSNR’), dove R e R’ sono catene organiche. Nelle nubi dense molecolari, recenti osservazioni nella regione dell’infrarosso medio con il JWST hanno fornito importanti informazioni sulla composizione dei grani ghiacciati. In queste particelle solide sono stati rilevati il solfuro di carbonile (OCS) e probabilmente il diossido di zolfo (SO2) (Figura 2).

Figura 2 Molecole contenenti zolfo identificate nello spazio (Copyright Nature)

La molecola più semplice, che dovrebbe essere presente, è il solfuro di idrogeno (H2S), ma non è stata ancora osservata nei ghiacci interstellari tramite osservazioni nel dominio dell’infrarosso. I modelli chimici prevedono che il H2S sia presente in questi ghiacci. Poiché le analisi infrarosse dei ghiacci interstellari hanno rivelato prove di composti più volatili del H2S (come il metano) ancora presenti nei ghiacci, l’assenza di rilevazione del H2S è probabilmente dovuta alle deboli caratteristiche infrarosse. Poiché le particelle di polvere interstellare e le nubi molecolari fredde forniscono essenzialmente la materia prima per i dischi protoplanetari e i rispettivi sistemi solari, gli astronomi hanno dedotto che le particelle interstellari e le molecole contenenti zolfo sono almeno parzialmente incorporate in comete e altri corpi planetari, mentre le nubi molecolari si trasformano in regioni di formazione stellare

Ora, per gli autori di una recente pubblicazione [1], in questi ambienti estremamente freddi lo zolfo può assumere due forme stabili: una molecola analoga alla forma allotropica presente sulla Terra, cioè un ciclo ad otto atomi di zolfo, e dar luogo alla fomazione dei polisolfani, catene di atomi di zolfo legati tra loro con atomi di idrogeno alle estremità. Il ciclo ad otto atomi di zolfo è favorito dalla reazione della specie diradicalica S2, come discusso da Hoffman e discusso in questo post. Queste molecole potrebbero formarsi sulla superficie dei granelli di polvere ricoperti di ghiaccio, intrappolando lo zolfo in forme solide non rilevabili facilmente dai telescopi.

Le simulazioni condotte in laboratorio hanno ricreato le condizioni del mezzo interstellare, dimostrando che queste molecole a base di zolfo possono effettivamente formarsi. Gli esperimenti di simulazione in laboratorio dimostrano che il H2S può essere convertito su grani interstellari ricoperti di ghiaccio nelle nubi molecolari fredde attraverso l’interazione dei raggi cosmici galattici (costituiti da protoni e nuclei di elio) a 5K in sulfani (H2Sn; n = 2-11) ed effettivamente in zolfo ottamolecolare (S8). I modelli teorici portano alla conclusione che fino al 33% del solfuro di idrogeno può essere convertito in questi prodotti nel corso della vita delle nubi molecolari di 107 anni.

Una volta che le regioni di formazione stellare si riscaldano, queste molecole possono sublimare, tornando alla fase gassosa: a quel punto sarebbe possibile individuarle con i radiotelescopi, quindi a lunghezze d’onda più alte.

Un’ulteriore difficoltà è legata alla natura stessa dello zolfo: le sue molecole cambiano facilmente forma, passando da strutture ad anello a catene ad altre configurazioni. Tuttavia, i ricercatori sono riusciti ad individuare alcune configurazioni stabili che potrebbero diventare i nuovi obiettivi per le future osservazioni astronomiche.

1 ) A. Herath et al. “Missing interstellar sulfur in inventories of polysulfanes and molecular octasulfur crowns” Nature Communications 2025, 16, 5571 https://doi.org/10.1038/s41467-025-61259-2

L’acetone è un solvente Balfour?

29 August, 2025 - 12:47

Claudio Della Volpe

Qualcuno mi prenderà per scemo per questo titolo. Mi è venuto in testa dopo aver letto un articolo scritto da Roberto Burioni, il noto virologo, su Repubblica di qualche settimana fa e che vedete riprodotto in piccolo nella immagine qua sotto.

Ho pensato più o meno questo: se Burioni può attribuire ad un batterio ed alla sua scoperta un qualche ruolo decisivo o comunque importante nel processo che ha portato in un secolo alla nascita dello stato israeliano con l’espulsione di milioni di persone di etnia palestinese dalle loro case, allora è come se io attribuissi all’acetone prodotto dal batterio di Burioni un ruolo di solvente “politico” per ottenere la stessa dichiarazione, scritta da Lord Balfour e che segnò l’origine di quel processo.

Cosa scrive Burioni?

Burioni semplifica molto la questione (ed io riassumo ancora più per voi): l’Inghilterra entrata in guerra si accorge di aver bisogno di molto più acetone per produrre i propri proiettili, basati sulla cordite, un esplosivo deflagrante, dunque a basso potere esplosivo (onda d’urto che viaggia a meno della velocità del suono) costituito da una miscela di nitroglicerina, nitrocellulosa ed oli minerali (ce ne ha parlato in un post di parecchi anni fa il compianto Gianfranco Scorrano) estrusa sotto forma di filamenti sottili. Per produrli occorreva usare come solvente l’acetone, che però all’epoca si produceva a partire dalla decomposizione del calcio acetato ottenuto dalla distillazione del legno. La produzione avveniva in Germania ed Austria e dunque l’Inghilterra si trovò a secco durante la guerra. Ma in soccorso dell’Inghilterra arrivò il brevetto di un biochimico di religione ebraica, Chaim Weizmann, che lavorava in Inghilterra e che otteneva l’acetone tramite la fermentazione di sorgenti naturali, come le castagne dell’ippocastano, un prodotto di scarto; la soluzione andò così bene che l’Inghilterra riuscì ad aumentare enormemente la produzione di cordite. Il governo inglese fu grato a Weizman (che era uno dei capi del movimento sionista mondiale) e acconsentì (secondo Burioni) alla sua richiesta di aiutare il popolo ebraico a trovare una patria nel territorio che 2000 anni prima era stato sede di quella religione, (ma che all’epoca era abitato da centinaia di migliaia di palestinesi; la Palestina era una provincia dell’Impero Ottomano, che perse la guerra e fu smembrato).

Ma come stanno le cose? Cosa ne pensano gli storici? Fu veramente così “semplice”? Uno scambio fra acetone per usi bellici e dichiarazione Balfour?

Il 2 novembre 1917 il ministro degli esteri del Regno Unito il conte Arthur Balfour indirizzò una lettera a Lord Rothschild (banchiere famoso ma qui considerato come principale rappresentante della comunità ebraica del Regno Unito e referente del movimento sionista).

In essa, il governo britannico esprimeva il proprio sostegno alla creazione di un “focolare nazionale” per il popolo ebraico in Palestina, pur sottolineando il rispetto dei diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche già presenti nella regione. Tenete presente che la Dichiarazione Balfour è solo questo, una dichiarazione fatta da un ministro inglese ad un rappresentante di un movimento politico, non è un accordo internazionale come siamo abituati a dire oggi dopo un secolo di “legalità internazionale”; una promessa diciamo così fra le tante fatte dagli inglesi a destra e a manca per avere alleati in guerra.

Il termine sionista non è un termine offensivo, ma fa riferimento, come evincete dal testo della lettera, al nome ufficiale dell’omonimo movimento politico europeo; tale movimento era nato soprattutto dopo il caso Dreyfus in Francia per opera di Theodore Herzl; costui aveva scritto un libro in cui proponeva ai governi europei l’idea che si creasse uno stato ebraico (in una qualsiasi colonia delle potenze europee, oppure in Argentina) che sottraesse gli ebrei alle persecuzioni antisemite. Fu poi il fondatore, nel 1897, del movimento politico del sionismo, che si proponeva di far sorgere nei territori coloniali del mandato britannico della Palestina uno Stato ebraico. Agli inizi del 1900 propose infine lo schema Uganda per trovare un nuovo insediamento degli ebrei, anche in Uganda se necessario. Tutto ciò era, almeno in parte, basato sul concetto di autodeterminazione e ritorno degli ebrei alla loro terra “ancestrale”, intesa come la terra affidata loro dal loro dio. Queste posizioni non trovarono favore nella diaspora ebraica nel mondo mentre furono accolte con favore dai movimenti cristiano evangelici, soprattutto negli USA e in UK. Il sionismo è stato ed è in gran parte un movimento cristiano, basato sull’interpretazione letterale della Bibbia e che ha coperto un’assalto colonialistico al territorio palestinese (si veda per esempio qui).

Il testo qua sotto, scritto il 2 novembre, fu reso pubblico esattamente il 9 novembre ossia il giorno che gli italiani si attestarono sul Piave, dopo aver ceduto al nemico 250000 prigionieri e 2300 cannoni

Pochi giorni prima, il 23 ottobre 1917, il Comitato Centrale bolscevico aveva deliberato l’insurrezione armata che fu compiuta la sera del 6 novembre. Il 7 mattina alle 10 Lenin proclamava a Pietrogrado la presa del potere politico.

E’ impossibile non notare la coincidenza di questi tre avvenimenti che trasformeranno la storia futura.

In quei pochi giorni di inizio novembre 1917 vennero al pettine tutta una serie di contraddizioni.

Il movimento rivoluzionario in Russia coinvolgeva operai, contadini e soldati ed era iniziato nel febbraio con il rovesciamento dell’imperatore Nicola II Romanov e la nomina di un governo costituzionale; dopo la fallimentare offensiva di giugno e le giornate di protesta contro la guerra di luglio, il fronte era difficile da mantenere e dunque le forze degli Imperi centrali poterono muovere truppe e risorse dal fronte russo al fronte italiano, che per la sua struttura era il punto debole dello schieramento alleato e scatenare l’offensiva di Caporetto.

Il documento Balfour era in “lavorazione” da tempo, ma fu pubblicato proprio in corrispondenza di questi eventi che facevano temere ai governanti inglesi problemi di tenuta non solo bellica.

Nel suo libro Gerusalemme, il giornalista e storico inglese Simon Sebag Montefiore scrive:

“Nella primavera del 1917, l’America entrò in guerra e la Rivoluzione Russa rovesciò l’imperatore Nicola II. ”È chiaro che il governo di Sua Maestà era principalmente preoccupato di come mantenere la Russia nelle file degli Alleati“, spiegò uno dei principali funzionari britannici, e per quanto riguarda l’America, ”si pensava che l’opinione pubblica americana potesse essere influenzata favorevolmente se il ritorno degli ebrei in Palestina fosse diventato un obiettivo della politica britannica”. Balfour, in procinto di recarsi in America, disse ai suoi colleghi che “la stragrande maggioranza degli ebrei in Russia e in America sembra ora favorevole al sionismo”. Se la Gran Bretagna avesse potuto fare una dichiarazione filosionista, “saremmo stati in grado di portare avanti una propaganda estremamente utile sia in Russia che in America”.

Se la Russia e l’America non erano abbastanza urgenti, gli inglesi vennero a sapere che i tedeschi stavano prendendo in considerazione una loro dichiarazione sionista: dopotutto, il sionismo era un’idea tedesco-austriaca e fino al 1914 i sionisti avevano avuto sede a Berlino. Quando Jemal Pasha, il tiranno di Gerusalemme, visitò Berlino nell’agosto 1917, incontrò i sionisti tedeschi e il gran visir ottomano, Talaat Pasha, accettò con riluttanza di promuovere “una patria nazionale ebraica”. Nel frattempo, ai confini della Palestina, il generale Allenby stava segretamente preparando la sua offensiva.

Questi, e non il fascino di Weizmann, furono i veri motivi per cui la Gran Bretagna abbracciò il sionismo e ora il tempo era essenziale. «Sono un sionista», dichiarò Balfour, e forse il sionismo divenne l’unica vera passione della sua carriera. Anche Lloyd George e Churchill, ora ministro delle munizioni, divennero sionisti e quell’effervescente provocatore, Sir Mark Sykes, ora membro del Gabinetto, si convinse improvvisamente che la Gran Bretagna aveva bisogno dell’“amicizia degli ebrei di tutto il mondo” perché “con la grande comunità ebraica contro di noi, non c’è alcuna possibilità di portare a termine l’impresa”, ovvero la vittoria nella guerra.

Non tutti nel Gabinetto erano d’accordo e si scatenò una battaglia. “Che ne sarà del popolo di questo Paese?”, chiese Lord Curzon, ex viceré dell’India. Lloyd George sostenne che “gli ebrei potrebbero essere in grado di darci più aiuto degli arabi”. Il segretario di Stato per l’India, Edwin Montagu, ebreo tormentato, erede di una dinastia di banchieri e cugino di Herbert Samuel, sostenne con forza che il sionismo avrebbe probabilmente suscitato un aumento dell’antisemitismo. Molti magnati ebrei britannici erano d’accordo: Claude Goldsmith Montefiore, pronipote di Sir Moses, sostenuto da alcuni Rothschild, guidò la campagna contro il sionismo e Weizmann si lamentò che “considerava il nazionalismo al di sotto del livello religioso degli ebrei, tranne che come inglesi”…. “La Gran Bretagna fu in seguito accusata dagli arabi di cinico tradimento, per aver promesso contemporaneamente la Palestina allo sceriffo, ai sionisti e ai francesi, una perfidia che entrò a far parte della mitologia della Grande Rivolta Araba. Si trattò certamente di cinismo, ma le promesse fatte agli arabi e agli ebrei erano entrambe il risultato di una convenienza politica a breve termine, sconsiderata e urgente in tempo di guerra, e nessuna delle due sarebbe stata fatta in altre circostanze. Sykes insistette allegramente: “Ci siamo impegnati a favore del sionismo, della liberazione armena e dell’indipendenza araba”, ma c’erano gravi contraddizioni: la Siria era stata promessa specificamente sia agli arabi che ai francesi. Come abbiamo visto, la Palestina e Gerusalemme non erano state menzionate nelle lettere allo sceriffo, né la città era stata promessa agli ebrei. Sykes-Picot specificò una città internazionale e i sionisti acconsentirono: «Volevamo che i Luoghi Santi fossero internazionalizzati», scrisse Weizmann.

La Dichiarazione era stata concepita per allontanare gli ebrei russi dal bolscevismo, ma la notte prima della sua pubblicazione Lenin prese il potere a San Pietroburgo. Se Lenin avesse agito qualche giorno prima, la Dichiarazione Balfour non sarebbe mai stata emanata. ….“Ironia della sorte, il sionismo, spinto dall’energia degli ebrei russi – da Weizmann a Whitehall a Ben-Gurion a Gerusalemme – e dalla simpatia dei cristiani per la loro difficile situazione, fu ora tagliato fuori dagli ebrei russi fino alla caduta dell’Unione Sovietica nel 1991”

Insomma quello che si tira fuori da una breve disamina della letteratura storica è che la storia è un sistema complesso nel quale il rapporto causa effetto, per di più semplificato, come sembra piacere al collega Burioni non è il meccanismo fondamentale. Attribuire a singoli fatti, apparentemente casuali, le conseguenze di dimensioni mondiali che ne sono seguite appare veramente riduttivo, una favoletta per adulti, ma sostanzialmente inesatta.

La dichiarazione Balfour (che ripeto era solo una dichiarazione di intenti) fu il compimento e nello stesso tempo l’inizio di un processo storico che non era dovuto alla abilità e simpatia di Weizman, ma alle leggi di funzionamento della società umana organizzata nel cosiddetto “capitalismo”, che redistribuì le sue zone di influenza attraverso uno scontro bellico mondiale. L’impero di Sua Maestà britannica prometteva di appoggiare l’obiettivo di un movimento politico agli albori sperando di trarne guadagno (gli interessi inglesi per il controllo del petrolio nascevano allora, quando l’allora Ministro della Marina tale Winston Churchill, nel 1913, decise di spostare il combustibile delle navi da guerra dal carbone di cui l’Inghilterra aveva il controllo, ma che era al suo picco, al petrolio che doveva essere ottenuto dagli stati arabi al momento tramite il porto di Haifa, che fu non a caso luogo di uno dei primi attentati dell’Irgun ).

Nella conclusione di Guerra e Pace Tolstoj ebbe a scrivere:

Per la storia, il riconoscimento della libertà degli uomini come una forza che può influire sugli avvenimenti storici, cioè come una forza non soggetta a leggi, è la stessa cosa che per l’astronomia il riconoscimento della libera forza di movimento delle forze celesti.

Questo riconoscimento distrugge la possibilità dell’esistenza delle leggi, cioè di qualsiasi conoscenza. Se esiste anche un solo corpo che si muove liberamente, non esistono più le leggi di Keplero e di Newton e non esiste più nessuna rappresentazione del movimento dei corpi celesti. Se esiste una sola azione libera dell’uomo, non esiste alcuna legge storica e alcuna concezione degli eventi storici.

Per la storia esistono linee di movimento delle volontà umane, un’estremità delle quali si nasconde nell’ignoto, mentre all’altra estremità si muove nello spazio, nel tempo e in dipendenza dalle cause la coscienza della libertà che hanno gli uomini nel presente.

Quanto più si apre davanti ai nostri occhi questo spettacolo del movimento, tanto più evidenti sono le leggi di questo movimento. Cogliere e definire queste leggi è il compito della storia.”

Consultati:

Acetone e altre storie.

10.1021/ie50336a020  Cooley su Industrial and Engineering Chemistry, 29,1399 (1937)

Jerusalem, the biography. Simon Sebag Montefiore, Ed. A.A. Knopff, 2011 p.1047 sgg

Rashid Khalidi – Palestina. Cento anni di colonialismo, guerra e resistenza-Laterza (2025)

Jean-Pierre Filiu – Perché la Palestina è perduta ma Israele non ha vinto. Storia di un conflitto (XIX-XXI secolo)-Einaudi (2025)

Ilan Pappé – Brevissima storia del conflitto tra Israele e Palestina. Dal 1882 a oggi-Fazi (2024)

Tolstoj, Guerra e Pace, ed Garzanti, p. 3816

Che cosa è l’altermagnetismo?

23 August, 2025 - 09:37

Claudio Della Volpe

L’anno scorso un nuovo termine è venuto ad incrementare la confusione che già esisteva a proposito del magnetismo; sfido chiunque dei miei pochi lettori a negare che parlare di magnetismo comporti sempre un certo grado di difficoltà.

Il termine cui alludo è altermagnetismo, inventato nel 2024 in un lavoro pubblicato su Nature; un successivo lavoro su un’altra rivista della galassia Nature una review aiuta a farsi un’idea, ma c’è anche qualche articolo divulgativo, che consiglio caldamente.

Ovviamente devo ripartire da un poco prima per raccontarvi la cosa. Dedicatemi qualche minuto casomai sotto l’ombrellone.

Prima cosa da ricordare. Si dice spesso che il magnetismo (B) è un effetto relativistico del campo elettrico (E) (B ed E sono vettori), ossia frutto del fatto che la velocità con cui il campo si espande è finita, non infinita e dunque se ne vedono le variazioni, i gradienti; questa descrizione sia pure utile non è completamente corretta e dunque si dovrebbe parlare di campo elettromagnetico, in cui i due componenti interagiscono reciprocamente a causa della relatività, ma non solo. Dire che tutto il magnetismo è “solo un effetto relativistico dell’elettricità” funziona bene per campi statici generati da cariche in moto (tipo i fili con corrente), ma non per configurazioni in cui E e B sono coesistenti e accoppiati dinamicamente, come avviene nelle onde elettromagnetiche, dove vale invece la classica immagine delle due oscillazioni perpendicolari.

Fig. 1 Un’onda elettromagnetica (sinusoidalepolarizzata linearmente) che si propaga nella direzione +z in un mezzo omogeneo, isotropo e senza perdite (come potrebbe essere il vuoto). Il campo elettrico E → (frecce blu) oscilla nella direzione ±x, mentre il campo magnetico B → (frecce rosse) – ortogonale ad E → – oscilla nella direzione ±y, in fase con il campo elettrico.

Seconda cosa da ricordare. Ci sono tre vettori che esprimono il campo magnetico, indicati dai simboli B, H e M; in sostanza, H è il campo sorgente, M quello indotto all’interno di un materiale ed infine il campo B è il campo finale modificato dall’effetto della magnetizzazione del materiale, e infatti la loro relazione è la seguente

B = μ₀ * (H + M)

Dove: 

  • μ₀: è la permeabilità magnetica del vuoto.
  • M: è la magnetizzazione del materiale, che rappresenta la risposta del materiale al campo magnetico.

Se la magnetizzazione M è nulla o bassa allora rimane una sostanziale proporzionalità fra B ed H

 B = μ₀ *H

Ed inoltre esiste una relazione fra M ed H         M = χ*H

in cui il termine di proporzionalità adimensionale può essere positivo, nullo e negativo e prende il nome di suscettività magnetica del materiale. Possiamo adesso introdurre tutti quegli aggettivi che rendono complessa la descrizione del magnetismo, guardatevi la figura qui sotto e le sue scale logaritmiche!!

Fig.2 Diversi casi di suscettibilità magnetica nei materiali secondo ChatGPt-5 free in scala symlog. I valori sono indicativi. Si tenga presente che i rapporti di suscettività dipendono anche dalla temperatura.

A questo punto, forti del nostro breve ricordo generale della descrizione del magnetismo possiamo introdurre qualcosa di più. Da dove si origina?

Dai campi magnetici delle particelle costituenti (elettroni soprattutto, i nuclei ce l’hanno ma è molto più debole, noi chimici ci facciamo l’NMR).  Se guardiamo agli elementi della tavola periodica possiamo classificarli in modo schematico come nella figura qui appresso.

Fig. 3 Il magnetismo nella tavola degli elementi.

I materiali, a livello microscopico possono essere formati da atomi o molecole aventi un momento magnetico diverso da zero: questo si può verificare in quanto la materia contiene elettroni, che sono dotati di momento magnetico.

Le categorie riportate nella figura /diamagnetismo, paramagnetismo, etc) sono valide non solo per gli elementi ma più in generale per tutti i composti chimici che vengono classificati come descritto qui di seguito.

I materiali diamagnetici sono per esempio rame, oro, argento, zinco, ossido di alluminio, cloruro di sodio. In questi gli elettroni occupano completamente i livelli energetici e non ci sono elettroni spaiati; quando sono sottoposti ad un campo magnetico esterno il loro moto viene comunque perturbato ma in modo diverso: quelli che si muovono in una direzione vengono accelerati e gli altri rallentati e si crea un campo magnetico che si oppone a quello esterno (legge di Lentz); in complesso la suscettività è piccola e negativa.

Tenete presente che in fisica classica la spiegazione che abbiamo dato non esiste, i materiali diamagnetici sono già oggetti da meccanica quantistica.

Nel caso invece che ci siano elettroni spaiati, ma isolati, non accoppiati, a causa della struttura del materiale e dell’effetto della temperatura ambiente, il materiale non presenta momento magnetico proprio, ma se sottoposto ad un campo esterno si allinea ad esso, sia pur debolmente. In questo caso abbiamo i materiali paramagnetici, come per esempio alluminio, cromo, sodio, titanio, ossigeno o composti come cloruro di cromo, solfato di manganese.

Il paramagnetismo dell’ossigeno, del tutto inatteso, ne rivela la peculiare struttura elettronica (tre coppie di legame ed una di antilegame, i cui due elettroni spaiati rendono l’ossigeno nello stato fondamentale paramagnetico). Ne abbiamo parlato altre volte.

I valori della suscettività sono bassi in entrambi i casi, ma negativi per i diamagnetici e positivi per i paramagnetici.

Ci sono casi di materiali con suscettività elevate e sono questi i materiali ferromagnetici, detti così a causa del fatto che l’esempio più importante è il ferro, da cui dipende così tanta parte della nostra tecnologia. In questo caso non solo ci sono elettroni spaiati ma anche un elemento strutturale: la distanza fra gli elettroni spaiati è opportuna a favorire il loro allineamento; infatti, se ci si fa i conti esatti, in alcuni materiali allineare gli spin di elettroni isolati abbassa l’energia del sistema e dunque ne favorisce l’esistenza. Questo può avvenire se tale abbassamento abbassa l’energia più di quanto l’energia termica tenda a disturbare il fenomeno. Dunque esiste una temperatura detta di Curie, sopra la quale l’allineamento è sfavorito.

Ma sotto quella temperatura esisteranno domini dell’ordine dei micron con gli spin allineati (ma in direzioni diverse per ogni dominio, detto dominio di Weiss) e l’applicazione del campo esterno H è in grado di allinearli tutti al campo stesso. La suscettività acquista dunque un valore elevato dell’ordine anche di migliaia di volte. È il caso di ferro, cobalto e nickel o anche leghe opportune come il permalloy. Cessato il campo esterno l’allineamento rimane e ha una durata anche lunga. In generale questi materiali mostrano di essere sorgenti di campo magnetico proprio per questo motivo (in Natura sono poi immersi nel campo magnetico terrestre e dunque la sorgente che li fa accoppiare esiste sempre).

Esistono anche materiali con elettroni spaiati in cui la struttura cristallina (di solito costituita di specie ioniche diverse) è tale che per quelle distanze e combinazioni l’energia minima si ha quando nei domini gli spin isolati negli atomi e molecole sono anti-allineati; in questo caso il campo magnetico spontaneo è nullo se i singoli atomi o ioni sono in egual numero; ma se sono in numero diverso allora avrò anche qui un campo magnetico residuo come nei ferromagnetici. Tali materiali vengono definiti ferrimagnetici (ossidi di ferro, di titanio e di ferro e titanio (ilmeniti)), con suscettività anche elevate.

Nel caso di egual numero di spin diversi avrò l’antiferromagnetismo, ossia la suscettività sarà nulla o quasi a bassa temperatura perché in ogni condizione i campi dei domini tenderanno ad annullarsi. La temperatura critica si chiama qua di Neel.

Fig.4 Ordinamento degli spin nei domini di una materiale antiferromagnetico.

Nella figura 2 si vede che il cromo ha queste caratteristiche.

Di passaggio noto che nei materiali superconduttori la suscettività è pari a -1 in quanto il campo magnetico è come “espulso” dal materiale mentre è superconduttore; ma mi fermo qua perché l’argomento ci porterebbe troppo lontano.

E arriviamo finalmente all’altermagnetismo.

Qualcuno di recente ha notato uno strano fenomeno; che ci sono materiali come l’ossido di rutenio o il tellururo di manganese (entrambi composti ionici) in cui la suscettività magnetica nulla nasce da una diversa condizione.

Gli atomi con momento magnetico opposto sono accoppiati dalla rotazione dei cristalli o dalla simmetria speculare come nella figura seguente:

Fig. 5 Pattern magnetico e cristallino altermagnetico nel tellururo di manganese altermagnetico (MnTe, a sinistra) e nel biossido di rutenio (RuO 2 , a destra).

Come va la suscettibilità negli altermagneti?

Gli altermagneti, pur essendo antiferromagnetici a livello microscopico, presentano una suscettibilità magnetica che può variare in modo significativo a seconda della temperatura e della struttura del reticolo. A differenza degli antiferromagneti classici, dove la suscettibilità raggiunge un massimo alla temperatura di Néel (temperatura di transizione tra lo stato ordinato e quello disordinato), gli altermagneti possono mostrare comportamenti più complessi. La suscettibilità magnetica degli altermagneti può essere influenzata da diversi fattori, tra cui: temperatura, struttura del reticolo e interazioni magnetiche.

Cogliere la differenza fra antiferromagneti e altermagneti può non essere banale; il tellururo di manganese è stato per anni classificato antiferromagnetico. Poi l’anno scorso una collaborazione internazionale (Accademia ceca delle scienze, EPFL, PSI, Università di Nottingham e altri) si è concentrata sul tellururo di manganese (MnTe). Hanno utilizzato la spettroscopia avanzata di fotoemissione risolta in spin presso strutture a raggi X di sincrotrone (la Swiss Light Source e la svedese MAX IV) per sondare MnTe. Alla fine del 2024, hanno riferito su Nature che le bande elettroniche di MnTe sono effettivamente “spin-split”, il che significa che i livelli di energia per gli elettroni di spin-up divergono da quelli per gli elettroni di spin-down. È importante sottolineare che MnTe non ha magnetizzazione netta (gli spin sugli atomi di Mn vicini si annullano). Questa combinazione di magnetizzazione netta evanescente e degenerazione di spin rotto è esattamente ciò che la teoria prevede per gli altermagneti, ed è qualcosa che un antiferromagnete convenzionale non può fare.

Fig 6 Struttura cristallina del MnTe con due sottoreticoli a spin opposto (MnA e MnB) e possibili trasformazioni di trasposizione dei sottoreticoli contenenti un riflesso nello spazio reale o una rotazione sestupla.

S. Lee et al., “Broken Kramers degeneracy in altermagnetic MnTe,” Phys. Rev. Lett. 132, 036702 (2024).

Ma questa apparentemente sottile differenza può essere importante?

Diciamolo teoricamente: Possiamo dire che un altermagnete è magneticamente “invisibile” esternamente ma internamente polarizzato. Gli esperimenti hanno confermato questo vedendo la divisione della banda in MnTe senza magnetizzazione netta. Quindi, se si invia una corrente attraverso un altermagnete in una particolare direzione, può essere fortemente polarizzata in spin (tutto in uno spin), simile alla corrente di un ferromagnete.

Diciamolo praticamente: una memoria basata sugli altermagneti sarebbe molto più veloce, stabile ed efficiente energeticamente di una attuale perché funzionerebbe nel campo dei THz, dunque 1000 volte più veloce di quella del computer che sto usando adesso, sarebbe maggiormente protetta dai campi vicini e dunque potrebbe essere più piccola e implicherebbe correnti di gran lunga inferiori. In effetti questa sarebbe una applicazione spintronica come si dice oggi, ossia basata sullo spostamento di spin non su correnti elettroniche.

Il prossimo passo è capire quante sostanze altermagnetiche esistono e rifare le figure 2 e 3 per bene. Vedremo.

Consultati.

Fai clic per accedere a superconduttivita-magnetismo-materia.pdf

una presentazione molto brillante di Daniele Di Gioacchino dell’INFN di Frascati

https://www.professormattw.com/post/altermagnetism-the-third-form-of-magnetism-unveiled

un’articolo divulgativo sul tema altermagnetismo

https://en.wikipedia.org/wiki/Altermagnetism

https://www.mdpi.com/2673-8724/5/3/17

https://www.nature.com/articles/s41535-025-00756-5

una review sul tema altermagnetismo

Niente accordo sulla plastica a Ginevra.

19 August, 2025 - 07:23

Luigi Campanella, già presidente SCI

Niente accordo alle Nazioni Unite sul trattato internazionale per limitare l’inquinamento da plastica. All’undicesimo giorno di trattative a Ginevra l’incontro con quasi 2000 partecipanti si e’ chiuso senza una intesa sulla riduzione della crescita di produzione della plastica e sull’adozione di controlli legalmente vincolanti sui componenti chimici utilizzati.

Il fallimento del negoziato replica quindi quello gia’ verificatosi un anno fa in Corea del Sud. Secondo quanto riportano le agenzie internazionali, nessuna delle due bozze di documento, presentate dal presidente del comitato creato nel 2022 con il mandato di raggiungere una intesa, l’ambasciatore ecuadoriano Luis Vayas Valdivieso, e’ stata accettata dai 184 Paesi al tavolo come base per il negoziato.

Il dubbio che su questo non-risultato ci possa essere un effetto dazi si basa su un semplice collegamento fra i 2 problemi: ad esempio visti i dazi su alluminio ed acciaio è probabile che le aziende europee e statunitensi vireranno ancor di più sui prodotti in plastica, come ad esempio ha dichiarato qualche tempo fa Coca-Cola. Le posizioni per porre fine a questo inquinamento, esteso a tutto il ciclo produttivo, devono poi fare i conti con le tensioni geopolitiche e gli equilibri industriali.

Ecco perché è particolarmente interessante comprendere qual è la posizione che l’Unione Europea intende portare avanti dopo il risultato al tavolo svizzero di questi giorni. Dei 2 documenti presentati in sede di Assemblea uno è stato espressione dei Paesi rigoristi sulle cui posizioni le divergenze riguardano questioni centrali: la definizione delle plastiche problematiche e prioritarie, l’inclusione delle microplastiche, i meccanismi di finanziamento – soprattutto a sostegno dei Paesi in via di sviluppo – e l’adozione di obiettivi chiari e misurabili di riduzione e gestione.

Dall’altra parte si è schierato un gruppo di Paesi definiti “Like-Minded“, tra cui figurano giganti petroliferi come Arabia Saudita, Cina, Russia e Iran. Questa fazione si oppone fermamente a qualsiasi limite alla produzione, sostenendo che il trattato dovrebbe concentrarsi esclusivamente su una migliore gestione dei rifiuti e sul riciclo, una posizione che, secondo gli esperti, non è sufficiente, dato che a livello globale oggi si ricicla appena il 9% della plastica prodotta.

In una posizione più sfumata si trovano gli Stati Uniti, che si sono dichiarati favorevoli a un trattato meno ambizioso, senza tagli netti alla produzione.

A dare voce alla comunità scientifica è stato il professor Richard Thompson, l’accademico che per primo coniò il termine “microplastiche”. Come riportato dal quotidiano britannico The Guardian, Thompson, presente a Ginevra, ha lanciato un appello ai delegati: “È davvero chiaro che per proteggere le generazioni future dobbiamo agire con decisione ora (…). Spero davvero che i negoziatori possano guardare negli occhi la prossima generazione e dire di aver agito con decisione”.

Forse già ora possiamo dire che questa speranza è andata delusa. Ad oggi ci dobbiamo accontentare dell’ultima versione del documento votato a Ginevra che ha tentato senza successo la sintesi delle 2 posizioni emerse. Esso non include limiti alla produzione di plastica, ma riconosce che gli attuali livelli di produzione e consumo sono “insostenibili” e richiedono “un’azione globale”. Il testo aggiunge che tali livelli superano le capacità attuali di gestione dei rifiuti e sono destinati ad aumentare, rendendo necessaria “una risposta globale coordinata per fermare e invertire queste tendenze”.

È stato anche proposto che i Paesi realmente interessati a un accordo lascino l’attuale processo e formino un “trattato dei volenterosi”, introducendo meccanismi di voto che eliminino la “tirannia del consenso”. Secondo l’ambientalista, senza un cambiamento radicale del metodo, i prossimi negoziati rischiano di concludersi con un nuovo fallimento.

Le prime reazioni chimiche dell’universo.

15 August, 2025 - 21:00

Diego Tesauro

Se ci domandiamo quale sia la prima reazione chimica che avviene nell’universo primordiale, possiamo rimanere relativamente sorpresi rispetto alle specie coinvolte. A noi, studiosi delle reazioni nelle condizioni che ritroviamo sul nostro pianeta o che ci sono permesse di raggiungere mediante la tecnologia, ma soprattutto correlate alla composizione chimica dell’atmosfera, dell’idrosfera e della crosta terrestre, ci è difficile immaginare che l’elemento centrale della chimica primordiale sia l’elio. L’elio è l’elemento chimicamente più inerte di tutti e non è coinvolto nelle reazioni a causa della sua stabilità. Recentemente [1] però un team di ricercatori negli Stati Uniti e in Cina ha calcolato che una pressione estrema (nell’ordine dei tera-pascal – circa 10 volte la pressione trovata al centro della Terra) potrebbe teoricamente consentire la formazione di legami covalenti stabili tra elio e fluoro, formando il composto energeticamente stabile He3F2. Nell’universo primordiale però le condizioni sono diverse. Innanzitutto dominano tre soli elementi, i più leggeri, l’idrogeno, l’elio, e il litio, che si formano durante la fase della nucleo-sintesi nei primi secondi dopo il Big Bang, per gli altri bisogna aspettare la formazione delle stelle. Inizialmente sono tutti e tre completamente ionizzati, fino a che la temperatura non si abbassa, circa 400.000 anni dopo il big bang, abbastanza per permettere la ricombinazione degli elettroni con i nuclei per formare atomi neutri. A causa dell’alto potenziale di ionizzazione di 24.6 eV, l’elio fu il primo elemento a divenire neutro e pertanto disposto a dar luogo potenzialmente a reazioni chimiche. Ormai è acclarato che le prime molecole furono formate in un processo di associazione radiativa H⁺ + He → HeH⁺ + hν e conseguentemente che si formarono altri ioni piccoli ioni molecolari e molecole neutre tra cui H2⁺, H2, H3⁺+, LiH, LiH⁺, e le loro varianti deuterate. L’idruro di elio è stato ottenuto esattamente un secolo fa in laboratorio ed è presente anche nell’attuale universo, anche se in maniera meno abbondante. E’stato per la prima volta osservato nel 2016 (pubblicato nel 2019) nell’oggetto NGC 7027, una nebulosa planetaria (https://it.wikipedia.org/wiki/NGC_7027) situata approssimativamente a 3.000 anni luce di distanza nella costellazione del Cigno da un team di ricerca internazionale, usando lo Stratospheric Observatory for Infrared Astronomy (SOFIA) della NASA [2] (Figura 1).

All’età della ricombinazione degli atomi e la formazione delle molecole seguì la cosiddetta età oscura dell’universo: sebbene l’universo fosse ormai divenuto trasparente alla radiazione non esistevano ancora le stelle in grado di emettere luce. Dovevano trascorre diverse centinaia di milioni di anni prima che si formassero le prime. Perché la nube di gas dalla quale si forma una protostella collassi fino al punto in cui può iniziare la fusione nucleare, il calore deve essere dissipato. La dispersione avviene attraverso delle collisioni che eccitano atomi e molecole, che poi emettono questa energia sotto forma di fotoni.

 Al di sotto di circa 10mila gradi Celsius, tuttavia, questo processo diventa inefficace per gli atomi di idrogeno, che in quell’età dell’universo erano dominanti. Un ulteriore raffreddamento è potuto avvenire solo attraverso molecole in grado di emettere energia aggiuntiva attraverso rotazioni e vibrazioni.

Per il suo elevato momento di dipolo, lo ione HeH⁺ è particolarmente efficiente a queste basse temperature ed è stato a lungo considerato un candidato potenzialmente importante per il raffreddamento nella formazione delle prime stelle. Di conseguenza, la concentrazione di ioni idruro di elio nell’universo può avere avuto un impatto significativo sulla formazione delle prime stelle.

Figura 1 Lo ione HeH+ scoperto nella nebulosa planetaria NGC 7027. La nebulosa è visibile a 5 gradi a sud-est di Deneb, la stella più luminosa della costellazione del Cigno, alta nel cielo estivo. Immagine della NASA’s Ames Research Center. Nel
riquadro lo spettro IR che evidenzia il segnale del legame elio-idrogeno e che consente alla molecola di svolgere il suo ruolo di raffreddante delle nubi di gas che si contraggono e vanno a formare le stelle, come spiegato nel testo.

Durante questo periodo, le collisioni con gli atomi di idrogeno hanno costituito un importante percorso di degradazione per l’HeH⁺, portando alla formazione di un atomo neutro di elio e uno ione H2⁺, che successivamente hanno reagito con un altro atomo di idrogeno per formare, liberando un protone, una molecola di H2 cioè idrogeno molecolare, componente fondamentale delle nebulose dalle quali si formano le stelle (Figura 2).

I calcoli teorici suffragavano queste ipotesi, restava dimostrare l’effettiva efficacia di queste reazioni e soprattutto verificarne la velocità di reazione in funzione della temperatura.

Ora, per la prima volta [3], un esperimento nel rilevare le collisioni fra lo idruro di elio con il deuterio (scelto per ragioni di opportunità in luogo dell’idrogeno) è stato condotto presso il Cryogenic Storage Ring (Csr) dell’Mpik di Heidelberg, uno strumento unico al mondo per studiare le reazioni molecolari e atomiche in condizioni simili a quelle spaziali. La reazione ha prodotto la molecola HD con tasso maggiore di quello previsto, in quanto la velocità di reazione non rallenta al diminuire della temperatura, ma rimane pressoché costante

Figura 2 Un diagramma che illustra la reazione tra HeH+ e deuterio. (MPIK; copyright immagine di sfondo: W. B. Latter (SIRTF Science Center/Caltech) e NASA)

https://www.sciencealert.com/experiment-recreates-the-universes-very-first-chemical-reactions

Poiché le concentrazioni di molecole come l’HeH⁺ e l’idrogeno molecolare (H2 o HD) hanno giocato un ruolo importante nella formazione delle prime stelle, questo risultato costituisce un altro mattoncino nella comprensione della formazione delle stelle nell’universo delle origini.

[1] J. Hou et al. Chemical Bonding between Helium and Fluorine under Pressure J.Am.Chem.Soc. in ASAP https://doi.org/10.1021/jacs.5c06707

[2] R. Güsten et al. . Astrophysical detection of the helium hydride ion HeH+. Nature 2019, 568, 357-359

https://doi.org/10.1038/s41586-019-1090-x

[3]  F. Grussie et al. “Experimental confirmation of barrierless reactions between HeH+ and deuterium atoms suggests a lower abundance of the first molecules at very high redshifts” Astronomy and Astrophysics 699, L12 (2025) https://doi.org/10.1051/0004-6361/202555316

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