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Dal caffè al cioccolato.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 5 April, 2024 - 11:15

Claudio Della Volpe

In tempi pasquali il post sulla caffeina mi ha stimolato ad estendere la discussione al cacao; e questo per due motivi.

Non solo nel cacao c’è la caffeina, ma c’è anche dell’altro, altre metilxantine che hanno effetti simili.

Vediamo un po’ meglio.

La caffeina viene metabolizzata nel nostro organismo e si trasforma in almeno altre tre xantine che vedete qui sotto:

La caffeina viene metabolizzata nel nostro fegato da un sistema enzimatico multipotente denominato citocromo P450 o anche CYP450, un enzima, o meglio sarebbe dire, una famiglia di enzimi presenti nell’uomo e in tantissime altre specie viventi con lo scopo di funzionare da ossidasi, ossia detossificare l’organismo per esempio da molecole estranee come i farmaci; ce ne sono decine di tipi diversi in ciascuno di noi e in quantità diverse, cosa che potrebbe spiegare la diversa velocità di metabolizzazione dei farmaci nelle persone (ne abbiamo parlato a proposito dell’effetto pompelmo).

Nel solo uomo sono state censite almeno una sessantina di iso-forme del citocromo in questione codificate da geni diversi e che dunque interagiscono fra di loro nel liberarci di molecole più o meno sgradite.

Tornando alla caffeina vedrete che possiede tre gruppi metilici sui tre azoti e dunque è una tri-metilxantina; il fegato la trasforma nelle tre di-metilxantine mostrate in figura, ciascuna delle quali dotata a sua volta di proprietà analoghe. Il CYP450 la demetila.

Le due dimetilxantine sulla destra sono a loro volta presenti in natura come tali, la prima nei semi cacao e la seconda nelle foglie del té.

Dunque quando parliamo di caffeina dovremmo parlare più opportunamente di sistema metil-xantinico che ci produce i noti effetti stimolanti; ma attenzione a questo punto, specie in periodo pasquale sarebbe d’uopo notare che il cioccolato, prodotto a partire dal cacao contiene non solo la caffeina, ma anche la teobromina, dunque se al pupo rifiutiamo il caffè sarebbe ovvio chiedersi quanta caffeina e teobromina gli forniamo tramite il cioccolato.

La risposta è interessante; anche nel cioccolato al latte la presenza di caffeina e di teobromina è significativa.

Mentre nel cosiddetto cioccolato bianco non c’è cacao, ma solo burro di cacao, ossia il grasso presente nel cacao stesso, ma privo delle componenti che ci interessano (per esempio le caramelle Galak sono fatte di burro di cacao), man mano che saliamo con la percentuale di cacao nel cioccolato cresce anche la percentuale di caffeina e di teobromina; dunque nel favoloso cioccolato fondente amaro al 99% ne avremo il massimo.

Gli effetti stimolanti del cacao sono legati proprio alla presenza di teobromina (contenuta in misura del 2% circa), congiuntamente alla caffeina (0,6-0,8%).

Di conseguenza, in una barretta al cioccolato fondente da 100 grammi, ritroviamo 600-1800 mg di teobromina e 20-60 mg di caffeina. Si tratta comunque di valori generali, che possono variare – anche considerevolmente – in relazione al tipo di semi, alle tecniche colturali e al processo di fermentazione a cui vengono sottoposti prima di essere torrefatti.

https://www.my-personaltrainer.it/integratori/teobromina.htm

In sostanza 100 grammi di cioccolato non sono meno potenti come stimolante di una tazza di caffè espresso o di una tazzona di caffè americano; ma forse più piacevoli.

La teobromina, teniamo presente, è una decina di volte meno efficace della caffeina come stimolante; comunque parte dell’eccitazione pasquale (spesso postprandiale) del pupo (o della pupa) viene certamente dalle dosi significative di metilxantine somministrate.

Un aspetto sempre familiare ma non bambinesco di questo discorso dipende dalla presenza di animali da compagnia, cani e gatti principalmente.

Ora i suddetti soggetti, amatissimi in famiglia, vengono spesso trattati alla pari dei bambini e dunque non gli si negherà un po’ di cioccolato: errore gravissimo!

E già perché il metabolismo delle suddette fonti di metilxantine non è altrettanto veloce nei cani e gatti e dunque esse rimangono in circolo più a lungo con effetti fortemente indesiderati; in sostanza il cioccolato è TOSSICO per cani e gatti e NON glielo si deve somministrare in alcun modo.

Il gatto ancor più del cane è sensibile a questo tipo di intossicazione anche perché è più piccolo e dunque a parità di dose totale ingurgitata gli effetti possono essere molto seri.

Ricordatelo.

L’altra cosa che ricorderei, soprattutto per esperienza personale (ma che non mi impedisce di essere un consumatore obbligato di cioccolato fondente, sarei dunque un “cioco-olico”) è la presenza nel metabolismo del cioccolato di ossalati, i quali a loro volta contribuiscono alla formazione di calcoli renali; dunque attenti al cioccolato se avete calcoli o indizi della loro presenza.

Tra gli antiossidanti presenti nel cacao vi sono anche l’epicatechina, un flavonoide che contribuisce al rilassamento dei vasi sanguigni e al rafforzamento delle capacità antiossidanti totali del sangue, e i polifenoli che svolgono un ruolo protettivo nei confronti del sistema cardiovascolare e del metabolismo, oltre a migliorare la circolazione nel sangue.

Nonostante si tratti di un alimento ricco di sostanze “benefiche” per la salute, è sempre importante consumarlo con moderazione e nelle giuste quantità, senza lasciarsi andare agli eccessi. I LARN, Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (IV revisione), consigliano una porzione media di 30 g per un consumo sporadico. Per chi desidera consumare cioccolato fondente ogni giorno, invece, la quantità è compresa tra i 5 e i 15 g.

Cioccolato: perché ci piace così tanto?

(noto di passaggio che le catechine sono composti incolori che si ossidano facilmente, dando origine a imbrunimenti (per esempio nei vini) e sono astringenti, cioè fanno precipitare delle proteine della saliva facendo sentire il palato ruvido (come succede mangiando frutta acerba)).

Già. Ma questo continua a non spiegare come mai il cioccolato ci attragga tanto e ci dia quella particolare sensazione di benessere, che è evidentemente un effetto a livello di SNC.

Ci sono vari indizi interessanti.

Forse la spiegazione dipende dal fatto che il cioccolato contiene un certo numero di sostanze psicoattive, fra le quali troviamo: anandamide, tiramina e feniletilammina.

L’anandamide è un endocannabinoide, un neuro-modulatore che mima gli effetti dei composti psicoattivi presenti nella cannabis, noti come cannabinoidi. Questo composto, il cui nome deriva dal sanscrito “ānanda”, beatitudine interiore, è stato isolato e caratterizzato dal chimico ceco Lumír Ondřej Hanuš e dal farmacologo americano William Anthony Devane nel 1992.

(da wikipedia)

L’anandamide viene metabolizzato velocemente da un enzima denominato in sigla FAAH (Fat Acid Amide Hydrolase) che a sua volta viene inibito da altre sostanza come i polifenoli; nel cacao (specie se poco trattato e ricco di polifenoli) troviamo la giusta combinazione di anandamide e inibitori della sua distruzione nell’organismo, così da potenziarne gli effetti piacevoli.

Dato che il cacao fondente crudo, contiene circa 0,5 microgrammi/grammo di Anandammide, ed è anche una delle fonti vegetali più ricche di polifenoli, forse per questo gli antichi Aztechi chiamavano il cioccolato “cibo degli dei”.

Quanto rimane di questo meccanismo nel comune cioccolato?

Tiramina e feniletilammina a loro volta possono avere effetti potenti.

La feniletilammina (PEA) in particolare è presente nel cacao (specie nella varietà Criollo); si tratta di un ormone naturale prodotto anche dal nostro cervello.

I livelli di PEA sarebbero significativamente più alti nel cervello delle persone innamorate, svolgendo un ruolo chiave nel fenomeno conosciuto come “colpo di fulmine”. Inoltre, la sua produzione aumenta in seguito a uno sforzo fisico, spiegando l’effetto benefico sull’umore derivante dall’attività sportiva. La carenza di PEA è riscontrata nel 60% delle persone depresse, ma l’integrazione di questa sostanza ha dimostrato di alleviare i sintomi depressivi nel 60% dei pazienti.

Tuttavia se si cerca di documentarsi meglio si trova che:

la feniletilammina viene degradata dall’enzima MAO-B, per cui non si ritiene che, assunta per via alimentare, possa avere effetti psicoattivi.

La nomea di “molecola dell’amore” è frutto di una speculazione dovuta principalmente al libro dello psichiatra Michael Liebowitz The Chemistry of Love, in cui l’autore propose che livelli aumentati di monoammine, tra cui PEA, fossero in relazione con il sentimento di attrazione romantica. Non ci sono prove empiriche dirette sul ruolo specifico della feniletilamina nell’innamoramento.

(Da Wikipedia)

(per altri effetti di PEA si veda qui)

Tuttavia è da dire che la feniletilammina sostituita è usata effettivamente come farmaco in molte occasioni.

PEA

La tiramina è proprio una feniletilammina sostituita.

Tiramina

La tiramina, è ampiamente presente nell’organismo degli esseri viventi, viene sintetizzata per decarbossilazione della tirosina in seguito a processi fermentativi o di decomposizione batterica.

Molti cibi sono ricchi di tiramina e ad essa sono imputati gli effetti dei postumi dell’ubriachezza. È anche una molecola responsabile di alcune forme di intolleranza alimentare.

Ma la cosa che ci interessa notare è che la tiramina è un simpaticomimetico in grado di stimolare il rilascio di noradrenalina dalle vescicole neuronali causando vasocostrizione, con aumento dei battiti cardiaci e della pressione sanguigna, con effetti spiacevoli se si superano certe dosi

L’esistenza di un recettore con alta affinità per la tiramina, appartenente alla famiglia dei recettori per le ammine “traccia” accoppiato a una proteina G e denominato Trace Amine receptor 1 o TA1, suggerisce la possibilità che questa sostanza agisca da neurotrasmettitore. I recettori TA1 sono distribuiti nel cervello e in tessuti periferici quali i reni. Ciò giustificherebbe l’ipotesi che la tiramina possa anche agire in modo diretto sul controllo della pressione sanguigna.

(da Wikipedia)

Un ultimo aspetto da considerare e che è stato suggerito per spiegare l’attrattività del cioccolato è il seguente: il rapporto fra sostanze dolci e grasse presente nella sua formulazione.

Comunemente il cioccolato contiene il 20-25% di grassi e il 40-50% zuccheri.

Livelli così alti di questi due nutrienti non sono comuni nei cibi naturali.

Tuttavia esiste un cibo che quasi tutti noi abbiamo provato e che ha queste caratteristiche: il latte umano. Particolarmente ricco di lattosio e con una composizione di circa il 4% di grassi e l’8% di zuccheri, dunque un rapporto (1:2) che ricorda quello del cioccolato.

Dunque un altro suggerimento è che la composizione relativa di nutrienti sia particolarmente gradita al nostro cervello.

In definitiva non è ben chiaro perché il cioccolato ci piaccia tanto, ma un tocco di mistero tutto sommato non guasta, mentre ci crogioliamo con un pezzo di costoso uovo di cioccolato, residuo delle vacanze pasquali.

Fonti varie:

Berk, L. et. Al. (2018) Dark chocolate (70% organic cacao) increases acute and chronic EEG power spectral density (μV2) response of gamma frequency (25–40 Hz) for brain health: enhancement of neuroplasticity, neural synchrony, cognitive processing, learning, memory, recall, and mindfulness meditation. FASEB Journal; 32(1). 

Berk, L. et. Al. (2018) Dark chocolate (70% cacao) effects human gene expression: Cacao regulates cellular immune response, neural signaling, and sensory perception. FASEB Journal; 32(1). 

Brickman, A. M. et. Al. (2014) Enhancing dentate gyrus function with dietary flavanols improves cognition in older adults. Nature Neuroscience; 17: 1798–1803.

https://www.bbc.com/news/health-39067088

Anandamide del cioccolato Feniletilamina (PEA) e il cacao nel 2023, secoli di sensi

Nota: i contributi diretti da altre fonti sono in italico

PREMIO - Miglior Tesi di Laurea Magistrale nel campo della Chimica Industriale (Edizione 2024)

Chimica Industriale - News - 3 April, 2024 - 13:01

La Divisione di Chimica Industriale della Società Chimica Italiana istituisce un Premio denominato “Miglior Tesi di Laurea Magistrale nel campo della Chimica Industriale”, e nel seguito semplicemente Premio, da attribuire annualmente a due giovani Laureati, autori di una tesi su temi cardine della Chimica Industriale.

Ciascuno dei due Premi è indivisibile e consiste in:

  • un attestato
  • l’iscrizione a titolo gratuito all’evento in cui si terrà la cerimonia di premiazione
  • tesseramento a titolo gratuito alla Divisione di Chimica Industriale della Società Chimica Italiana per i 3 anni successivi all’assegnazione del premio.

I requisiti per la candidatura sono i seguenti:

  • I candidati devono avere conseguito la Laurea Magistrale tra il 2022 e il 2024 (fa fede la data riportata sul certificato di Laurea Magistrale).
  • I candidati non devono aver compiuto il 29° anno al momento della presentazione della domanda.
  • La tesi di Laurea Magistrale deve riguardare una tematica cardine della Chimica Industriale.

Il candidato deve proporre la propria candidatura entro il 30/04/2024, trasmettendo a mezzo posta elettronica i seguenti allegati (tutti rigorosamente in formato PDF):

  • Domanda di partecipazione (presente sul sito della Divisione: http://www.chimind.it), compilata di proprio pugno e scansionata;
    Tesi di Laurea Magistrale;
  • Certificato di Laurea Magistrale con relativa votazione finale e data di conseguimento del titolo;
  • Curriculum vitae;
  • Carta d’identità oppure Patente di guida oppure Passaporto del candidato (un unico file, non separare fronte da retro in due file diversi).

La domanda va indirizzata al “Consiglio Direttivo della Divisione di Chimica Industriale” e deve essere presentata via e-mail all’indirizzo: ChimicaIndustrialeSCI@gmail.com.

Nel caso la dimensione degli allegati non consenta la spedizione via e-mail oppure sia superiore ai 10 MB, è possibile utilizzare altri servizi per il download di file di grandi dimensioni (es. WeTransfer, Dropbox, ecc.).

La Commissione Giudicatrice declina ogni responsabilità per disguidi di natura tecnica relativi alla trasmissione della documentazione. Ogni domanda pervenuta incompleta e/o dopo i termini previsti sarà esclusa dal concorso. I candidati riceveranno, sempre per e-mail, comunicazione di corretta ricezione della documentazione entro 15 giorni dalla trasmissione della medesima.
Il Premio verrà assegnato ad insindacabile giudizio della Commissione Giudicatrice, individuata dal Consiglio Direttivo della Divisione di Chimica Industriale. L’assegnazione del Premio verrà comunicata al vincitore a mezzo posta elettronica. I candidati che hanno partecipato ad edizioni passate del Premio e che desiderano concorrere nuovamente dovranno ripresentare tutta la documentazione utile alla candidatura.
La Divisione si impegna a garantire l’erogazione del Premio, ma si riserva di utilizzare a tal fine eventuali sponsorizzazioni di aziende o enti. La Divisione si riserva altresì il diritto a non proclamare alcun vincitore qualora la Commissione Giudicatrice non identifichi candidature meritevoli del Premio.


La premiazione si terrà durante il XXVIII Congresso Nazionale Società Chimica Italiana (Milano, 26-30 agosto 2024, link). Costituirà requisito necessario per la consegna del Premio al vincitore la sua presenza all’evento di premiazione, durante il quale dovrà presentare (in un formato scelto dal comitato organizzatore) i risultati più rilevanti del proprio lavoro.

PREMIO - Miglior Tesi di Dottorato nel campo della Chimica Industriale (Edizione 2024)

Chimica Industriale - News - 3 April, 2024 - 13:01

La Divisione di Chimica Industriale della Società Chimica Italiana istituisce un Premio denominato “Miglior Tesi di Dottorato nel campo della Chimica Industriale”, e nel seguito semplicemente Premio, da attribuire annualmente a un giovane (under-35) Dottore di ricerca, socio della Società Chimica Italiana e membro della Divisione di Chimica Industriale, autore di una tesi su temi cardine della Chimica Industriale.
Il Premio è indivisibile e consiste in: i) un attestato; ii) l’iscrizione a titolo gratuito all’evento in cui si terrà la cerimonia di premiazione; iii) tesseramento a titolo gratuito alla Divisione di Chimica Industriale della Società Chimica Italiana per i 3 anni successivi all’assegnazione del premio.

I requisiti per la candidatura sono i seguenti:

  • I candidati devono avere conseguito il Dottorato di Ricerca tra il 2022 e il 2024 (fa fede la data riportata sul certificato di rilascio del titolo o di superamento dell’esame finale).
  • I candidati non devono aver compiuto il 33° anno al momento della presentazione della domanda.
  • I candidati devono essere soci in regola della Società Chimica Italiana e iscritti alla Divisione di Chimica Industriale (aderenti o effettivi) al momento della presentazione della propria candidatura.
  • La tesi di Dottorato deve riguardare una tematica cardine della Chimica Industriale.

Il candidato deve proporre la propria candidatura entro il 30/04/2024, trasmettendo a mezzo posta elettronica i seguenti allegati (tutti rigorosamente in formato PDF):

  • Domanda di partecipazione (presente sul sito della Divisione: http://www.chimind.it), compilata di proprio pugno e scansionata.
  • Tesi di Dottorato.
  • Certificato di conseguimento del Dottorato di Ricerca. Il certificato deve specificare la data di conseguimento del titolo.
  • Curriculum vitae con inclusa lista delle pubblicazioni, brevetti e contributi in atti di convegno.
  • Carta d’identità oppure Patente di guida oppure Passaporto del candidato, in formato PDF (un unico file, non separare fronte da retro in due file diversi).

La domanda va indirizzata al “Consiglio Direttivo della Divisione di Chimica Industriale” e deve essere presentata via e-mail all’indirizzo: ChimicaIndustrialeSCI@gmail.com.

Nel caso la dimensione degli allegati non consenta la spedizione via e-mail oppure sia superiore ai 10 MB, è possibile utilizzare altri servizi per il download di file di grandi dimensioni (es. WeTransfer, Dropbox, ecc.). La Commissione Giudicatrice declina ogni responsabilità per disguidi di natura tecnica relativi alla trasmissione della documentazione. Ogni domanda pervenuta incompleta e/o dopo i termini previsti sarà esclusa dal concorso. I candidati riceveranno, sempre per e-mail, comunicazione di corretta ricezione della documentazione entro 15 giorni dalla trasmissione della medesima.

Il Premio verrà assegnato ad insindacabile giudizio della Commissione Giudicatrice, individuata dal Consiglio Direttivo della Divisione di Chimica Industriale. L’assegnazione del Premio verrà comunicata al vincitore a mezzo posta elettronica. I candidati che hanno partecipato ad edizioni passate del Premio e che desiderano concorrere nuovamente dovranno ripresentare tutta la documentazione utile alla candidatura.
La Divisione si impegna a garantire l’erogazione del Premio, ma si riserva di utilizzare a tal fine eventuali sponsorizzazioni di aziende o enti. La Divisione si riserva altresì il diritto a non proclamare alcun vincitore qualora la Commissione Giudicatrice non identifichi candidature meritevoli del Premio.

La premiazione si terrà durante il XXVIII Congresso Nazionale Società Chimica Italiana (Milano, 26-30 agosto 2024, link). Costituirà requisito necessario per la consegna del Premio al vincitore la sua presenza all’evento di premiazione, durante il quale dovrà presentare oralmente i risultati più rilevanti del proprio lavoro.

La sindrome circolare del rasoio al supermercato.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 2 April, 2024 - 17:25

Mauro Icardi

La conferenza tenuta l’8 novembre 1972 dall’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen (1906-1994) alla Yale University può essere considerata come l’atto di nascita della “bioeconomia”.

La conferenza faceva parte di una serie di incontri organizzati dalla storica università statunitense a seguito della pubblicazione, nel marzo dello stesso anno, di The Limits to Growth e del vivace dibattito che il libro aveva suscitato.

Per Georgescu-Roegen non era la limitatezza delle risorse planetarie, quanto la loro esauribilità, dovuta alla legge dell’entropia, “la più economica per sua natura tra le leggi naturali, che sfidava l’idea di una crescita economica continua.

Nel libro “Energia e miti economici” scritto dall’economista rumeno, e pubblicato da Bollati Boringheri nel 1982, si possono leggere gli otto punti di un programma bioeconomico minimale. È una lettura che consiglio, anche se il libro è purtroppo difficile da reperire, anche nei siti di libri usati, e in qualche caso i prezzi possono raggiungere cifre relativamente elevate.

L’ottavo punto del programma bioeconomico è quello che mi torna puntualmente in mente ogni volta che faccio la spesa, e devo acquistare quanto mi occorre per la rasatura quotidiana.

Riporto integralmente il testo: “ Ottavo, in completa armonia con i pensieri sopraelencati, dovremmo guarire da quella che ho chiamato “sindrome circolare del rasoio elettrico”, che consiste nel radersi più velocemente, in maniera da avere più tempo per lavorare ad un rasoio che permetta di radersi più rapidamente ancora, in maniera da avere ancora più tempo per progettare un rasoio ancora più veloce, e così via all’infinito. Questo cambiamento richiederà una buona dose di autocritica da parte di tutte quelle professioni che hanno allettato l’umanità a questo regresso infinito. Dobbiamo arrivare a capire che un requisito importante per una buona qualità di vita è una quantità sostanziosa di svago spesa in maniera intelligente”

Io non adopero il rasoio elettrico, ma prediligo la rasatura con le lamette. Ed è qui che si pone il problema, in quanto esiste certamente, secondo il mio modesto parere, anche una sindrome circolare della lametta da barba. O per meglio dire una profusione di lamette da barba spesso monouso, in altri casi con lama sostituibile.

Per approfondire il tema bisogna citare un altro personaggio: King Camp Gillette. Fu lui l’inventore del rasoio di sicurezza. Nato in una piccola cittadina del Wisconsin inizia a lavorare come commesso viaggiatore.

Nel 1894, Gillette ha 39 anni e non è soddisfatto della sua vita professionale. Decide, così, di tornare nella sua città natale e di lavorare come venditore nell’azienda Crown Cork & Seal Co. Il presidente è William Painter, l’inventore dei tappi di bottiglia a corona, che gli consiglia di inventare qualcosa che la gente usi e poi butti via. Gillette che detestava perdere tempo, e che, come molti altri suoi colleghi commessi viaggiatori dell’epoca, era solito radersi durante i viaggi in treno con un rasoio a mano libera, spesso chiamato “taglia gola,” inventa il rasoio di sicurezza. Una sottile lama di acciaio, montata ad angolo retto su un piccolo manico.

Figura 1 Disegno del brevetto del rasoio di Gillette

Oggi il rasoio di sicurezza con lametta è un oggetto oserei dire di modernariato. Negli scaffali dei supermercati esiste una miriade di rasoi usa e getta, che a partire dagli anni 70 lo stanno sostituendo quasi completamente. E col tempo è cresciuto il numero delle lame, dalla singola alla doppia per arrivare fino al considerevole numero di cinque lame.

Per questo tipo di prodotti colgo una singolare analogia con le pubblicità delle acque in bottiglia. Non nego che non è piacevole radersi con un rasoio con la lama non perfettamente affilata, ma oggettivamente non riesco a capire questa profusione di lame di ogni genere, tipologia e marca, a cui si aggiunge la difficoltà a reperire una semplice confezione di lamette da barba di ricambio per un rasoio di sicurezza.

Una lametta monouso ha come destinazione finale il rifiuto secco indifferenziato. Quelle con confezioni di lamette intercambiabili quantomeno conservano il manico, ma ogni tipologia ha il suo. Non sarebbe una cattiva idea utilizzare un manico universale per diverse tipologie di lamette intercambiabili.

Queste sono riflessioni che faccio ogni volta che sono al supermercato, una cosa a volte più forte di me. E mi rimane una curiosità che non potrò mai soddisfare, ovvero sapere cosa avrebbe detto Georgescu Roegen in un ipotetico incontro con mister Gillette, nello stile delle “Interviste impossibili”, programma radiofonico che mi piaceva e di cui non perdevo una puntata.

Forse è utopia ma sono convinto che le nostre scelte quotidiane potrebbero avere un impatto se solo fossimo maggiormente attenti e consapevoli. Io intanto proseguo la mia ricerca di lamette di ricambio per il rasoio di sicurezza. E in tutta la zona di Varese solo un supermercato, e uno storico negozio, che vende di tutto, compresi i famosi coltellini svizzeri multiuso, sono gli esercizi commerciali in cui posso trovarle.

Per essere consumatori consapevoli occorre molta pazienza e perseveranza.

Idrogeno già oggi.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 30 March, 2024 - 22:08

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Quando i ricercatori vengono chiamati a presentare o a contribuire ad eventi nell’ambito della transizione ambientale e/o energetica sono portati per loro stessa natura a preferire gli aspetti tecnici ed a configurare il problema di turno come una scelta da assumere sulla base di indicatori prevalentemente di tipo tecnico.

Quando ci riferiamo così all’idrogeno sono portati ad evidenziare come primo elemento per le scelte future che il 95% della produzione mondiale di idrogeno è oggi colorata in nero e in grigio, nel senso che essa avviene con l’uso dei combustibili fossili, invece che con sistemi derivati da fonti rinnovabili (idrogeno verde e azzurro).

L’idrogeno prodotto tramite l’elettrolisi dell’acqua, sarebbe destinato a rivestire un ruolo cruciale nell’eliminazione dell’attuale dipendenza mondiale dai combustibili fossili, ma finirebbe per esaltare gli stessi problemi che vorrebbe risolvere. Le metodologie green per produrre idrogeno, viene ribadito, purtroppo al momento sono ancora troppo onerose e quindi fuori dalla produzione in larga scala. (7/8 euro per 1 Kg di H2 contro i circa 2 euro per 1 Kg per gli attuali combustibili fossili), per cui necessitano ancora passaggi tecnologici innovativi per abbattere i costi di produzione. Il costo della produzione dell’idrogeno verde non sta diminuendo come molti speravano. Ma, secondo quanto dicono gli esperti, sembra venuto il momento buono per un abbattimento dei costi di produzione dell’idrogeno verde, almeno da avvicinarlo all’idrogeno grigio (3 euro/kg) e all’idrogeno blu (5 euro/kg). L’Unione Europea ha lanciato la sua prima asta per l’idrogeno verde con un prezzo massimo di 4,5 euro/kg. I progetti approvati riceveranno sovvenzioni per un decennio oltre ai proventi dalle vendite di idrogeno, e dovranno iniziare la produzione entro 5 anni. Ipotizzando, come esempio, di produrre idrogeno in Germania a partire da energia eolica, il costo finale sarebbe 6 euro/kg che con un sussidio di 4 euro, il max previsto, consentirebbe la vendita a 2 euro/kg. La strada verso un’economia dell’idrogeno non è mai stata in discesa e questo proprio in ragione dei costi. Non solo però, in quanto ostacoli a tale economia vengono anche dalle incertezze normative e regolatorie, in particolare riferite agli standard di sicurezza e dalla sfida tutt’altro che banale di creare una domanda al di fuori dei settori di impiego tradizionali, come la raffinazione del petrolio o l’industria dei fertilizzanti.

Eppure benché vi siano ancora numerosi ostacoli alla diffusione dell’idrogeno su larga scala, compresa la questione dell’efficienza, la tecnologia basata sull’idrogeno potrebbe presentare interessanti opportunità di investimento. Oltre a ciò vanno affrontate e risolte le attuali carenze di infrastrutture, nonché studiate azioni normative per l’approvazione di regolamenti specifici. Come si vede il ricercatore focalizza l’attenzione sulle difficoltà che ancora esistono e che devono essere superate per conseguire traguardi significativi. Ciononostante in tutto il mondo si sono aperti orizzonti interessanti non solo nella ricerca, ma anche nella produzione dell’idrogeno per la mobilità e anche per la produzione di energia, svincolata dalla rete energetica tradizionale. La prospettiva è che entro un trentennio l’idrogeno possa sostituire, anche in Italia, oltre il 70% dei combustibili fossili. Come si vede si parla di prospettiva, di traguardi auspicati, di successi ancora solo sporadici e non garantiti sul piano della riproducibilità, di difficoltà operative. Forse è il momento cambiare l’approccio partendo dalla osservazione che importanti successi non sono visti solo come traguardi futuri, ma rappresentano significativi successi di oggi.

Per l’idrogeno è limitativo parlare di prospettiva essendoci già traguardi conseguiti che devono indurre imprenditori coraggiosi a dire “se lui è riuscito perché non posso riuscire anche io?”. Partiamo cioè da risultati già ottenuti per supportare innovazioni concrete da subito. Solo così si crea un sistema industriale ed economico capace di condividere esperienza e conoscenza e di fornire sostegno alla propria innovazione con responsabilità, ma anche con coraggio e determinazione

A che serve la caffeina?

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 27 March, 2024 - 12:48

Claudio Della Volpe

Dato che la maggior parte di noi la beve quasi tutti i giorni e anche più volte al giorno e fa parte ormai della nostra cultura, la mia domanda può sembrare alquanto scema.

Ma è ovvio, d’altra parte, che la caffeina non è presente in natura per farci svegliare la mattina o per farci stare svegli se abbiamo bisogno di restare svegli. Dunque la mia domanda ha un senso; a cosa serve la caffeina in natura e come agisce su di noi?  

I frutti del caffè (da Wikipedia).

La struttura della caffeina è riportata qui sotto; si tratta di una molecola a scheletro planare, priva di carboni otticamente attivi (la nicotina viceversa lo è).

https://www.acs.org/education/resources/undergraduate/chemistryincontext/interactives/brewing-and-chewing/3d-model-caffeine.html

La caffeina è uno stimolante del sistema nervoso centrale (SNC).

Come agisce sull’uomo? La caffeina agisce bloccando il legame dell’adenosina al recettore dell’adenosina A1, che aumenta il rilascio del neurotrasmettitore acetilcolina. La caffeina ha una struttura tridimensionale simile a quella dell’adenosina, che le permette di legarsi e bloccare i suoi recettori. La caffeina aumenta anche i livelli di AMP ciclico attraverso l’inibizione non selettiva della fosfodiesterasi (questo avviene anche nell’insetto).

Cogliamo l’occasione per ricordare brevemente alcuni concetti dell’interazione fra enzimi, recettori, substrati e molecole interferenti.

Una molecola si definisce antagonista quando, pur legandosi selettivamente a un recettore, non lo attiva, cioè blocca la trasduzione del segnale. Gli antagonisti sono dotati di affinità per il recettore, ma sono privi di efficacia intrinseca, non sono in grado di provocare da soli effetti misurabili. Se un antagonista viene aggiunto a un sistema in cui sono presenti sia l’agonista corrispondente sia il recettore, si nota una diminuzione della risposta rispetto a una situazione analoga in cui ci sia solo l’agonista.

Esistono due grandi categorie di antagonisti: ortosterici e allosterici.

Gli antagonisti ortosterici (competitivi o sormontabili) si legano al recettore nello stesso sito in cui si lega l’agonista. Nel caso di un antagonista ortosterico, un aumento della concentrazione di agonista può spiazzare l’antagonista e ripristinare l’attività del recettore (es. morfina/naloxone).

Gli antagonisti allosterici (non competitivi o non sormontabili) si legano in un sito del recettore che non è sfruttato dall’agonista e modifica la conformazione del recettore in modo tale da diminuire l’affinità o l’efficacia dell’agonista. L’interferenza di un antagonista nella formazione di un complesso agonista-recettore prende il nome di antagonismo farmacologico.

La caffeina è un antagonista ortosterico dei 4 recettori dell’adenosina; qui sotto una rappresentazione di come si lega al recettore A2A

In assenza di caffeina e quando una persona è sveglia e vigile, poca adenosina è presente nei neuroni del SNC. Con uno stato di veglia continua, nel tempo l’adenosina si accumula nella sinapsi neuronale, legandosi a sua volta e attivando i recettori dell’adenosina presenti su alcuni neuroni del SNC; quando attivati, questi recettori producono una risposta cellulare che alla fine aumenta la sonnolenza. Quando la caffeina viene consumata, antagonizza i recettori dell’adenosina. In altre parole, la caffeina impedisce all’adenosina di attivare il recettore bloccando la posizione sul recettore in cui l’adenosina si lega ad esso. Di conseguenza, la caffeina previene o allevia temporaneamente la sonnolenza e quindi mantiene o ripristina la vigilanza.

La caffeina contiene strutturalmente due sistemi ad anello che sono anche chiamati purine. La caffeina si lega ai recettori che normalmente legano l’adenosina, cioè i recettori dell’adenosina. Esistono diversi tipi di recettori dell’adenosina, e le molteplici funzioni di questi recettori non sono ancora del tutto comprese. L’attivazione dei recettori dell’adenosina è nota per attivare la conversione di ATP in cAMP. cAMP è una molecola di segnalazione intracellulare che attiva la cAMP chinasi. Questa chinasi apre un canale K+ nella membrana, e questo porta alla fuoriuscita di K+ dalla cellula. In questo modo, la cellula si iperpolarizza e l’attività nervosa viene inibita. L’adenosina appartiene quindi a un sistema che inibisce i segnali nervosi.

La caffeina è un antagonista dei recettori dell’adenosina. La sostanza inibisce tutti i segnali dell’adenosina, e quindi la conversione di ATP in cAMP. Pertanto, contrasta anche l’inibizione del cAMP dei segnali nervosi nel cervello. La caffeina crea un aumento dell’attività e influenza anche altri neurotrasmettitori, aumentando i livelli di dopamina e serotonina. Questi due neurotrasmettitori sono legati a molti degli effetti della caffeina, tra cui quelli sulla resistenza, la fatica, il rilassamento e la demenza.

Ma torniamo alla domanda iniziale: a che serve la caffeina in Natura?

La caffeina è un alcaloide presente in decine di specie di piante, tra cui la pianta del caffè del genere Coffea. Fonti comuni sono i “chicchi” (semi) delle due piante di caffè coltivate, Coffea arabica e Coffea canephora (la quantità varia, ma l’1,3% è un valore tipico); e della pianta del cacao, Theobroma cacao; le foglie della pianta del ; e le noci di kola. Altre fonti sono le foglie dell’agrifoglio yaupon, dell’agrifoglio sudamericano yerba mate e dell’agrifoglio amazzonico guayusa; e i semi delle bacche di guaranà dell’acero amazzonico. Insomma i climi temperati di tutto il mondo hanno prodotto piante non correlate fra di loro, ma tutte contenenti caffeina.

Perché?

Una probabile spiegazione è stata fornita nel 1984 su Science da James Nathanson, allora al Dipartimento di Neurologia di Harvard.

La caffeina nelle piante agisce come un pesticida naturale (soprattutto attraverso l’inibizione della fosfodiesterasi ed aumentando l’adenosina monofosfato ciclico): può paralizzare e uccidere gli insetti predatori che si nutrono della pianta. Alti livelli di caffeina si trovano nelle piantine di caffè quando stanno sviluppando il fogliame e non hanno protezione meccanica. Inoltre, alti livelli di caffeina si trovano nel terreno circostante le piantine di caffè, che inibisce la germinazione dei semi delle piantine di caffè vicine, dando così alle piantine con i livelli di caffeina più alti meno concorrenti per le risorse esistenti per la sopravvivenza. La caffeina è immagazzinata nelle foglie di tè in due luoghi. In primo luogo, nei vacuoli cellulari, dove viene complessata con i polifenoli. Questa caffeina viene probabilmente rilasciata nelle parti della bocca degli insetti, per scoraggiare l’erbivoro. In secondo luogo, intorno ai fasci vascolari, dove probabilmente inibisce l’ingresso e la colonizzazione dei fasci vascolari da parte di funghi patogeni.

Questo comportamento della caffeina è condiviso da altre molecole come la nicotina, la cui natura chimica è però assai diversa (la caffeina è una metilxantina, mentre la nicotina è una piridina); entrambe però sono comunemente considerate alcaloidi, una classe di sostanze molto varia e definita su basi biologiche piuttosto che strettamente chimiche (e con molte polemiche).

La caffeina è generata come metodo di difesa dalle piante che abbiamo detto, mentre la nicotina da parecchie solanacee. In entrambi i casi però si vede dall‘uso concreto che un possibile veleno per gli insetti può diventare uno stimolante per l’uomo. Del caso nicotina abbiamo parlato in passato.

Della caffeina parlo oggi.

Una prima cosa interessante è che la caffeina, che è abbiamo detto un insetticida naturale, in effetti non viene usato come tale dall’uomo (per vari buoni motivi, il primo dei quali è che agisce non per contatto, ma solo se è assorbito dall’insetto col cibo), ed inoltre, in dipendenza della dose, può diventare uno stimolante almeno per alcuni insetti.

Si è infatti scoperto che la caffeina nel nettare può migliorare il successo riproduttivo delle piante produttrici di polline aumentando la memoria di ricompensa degli impollinatori come le api da miele.

In un primo momento la cosa è stata testata in laboratorio; Couvillon et al. (http://dx.doi.org/10.1016/j.cub.2015.08.052 ) hanno dimostrato che il foraggio con caffeina presente in natura induce le api da miele a comportarsi come se la qualità del nettare, misurata dalle api in base al contenuto di zucchero, fosse superiore a quella reale. Le operaie aumentano i comportamenti di bottinatura e reclutamento, che alla fine quadruplica il reclutamento a livello di colonia, tentando la colonia con strategie di bottinatura non ottimali. In definitiva la caffeina fa più bene alla pianta che all’insetto

Gli stessi autori hanno poi dimostrato sul campo che la caffeina genera effetti significativi a livello individuale e di colonia nelle api mellifere operaie in volo libero (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26480843/). Rispetto a un controllo, una soluzione di saccarosio con dosi realistiche di caffeina ha fatto sì che le api mellifere aumentassero significativamente la frequenza di foraggiamento, la probabilità e la frequenza delle danze ondulatorie, la persistenza e la specificità del luogo di foraggiamento, con il risultato di quadruplicare il reclutamento a livello di colonia.

Dunque a seconda della dose la caffeina può essere sia un veleno che una sorta di droga per gli insetti.

Anche i ragni risentono della caffeina; le loro ragnatele sono fortemente influenzate dalla presenza di caffeina nella loro dieta:

(immagine da wikipedia)

E veniamo a questo punto ad un altro aspetto della questione. Ossia la caffeina è presente in diverse piante e per ciascuna di queste si è sviluppato un differente uso umano con effetti simili ma non identici. Come mai?

A causa della sua presenza in molte specie botaniche, dal cacao al mate, la caffeina ha preso spesso nomi alternativi derivanti dalla specie di origine. La guaranina, ad esempio, scoperta e isolata nel 1826 dal botanico bavarese Carl Friedrich Philipp von Martius, è una sostanza di colore rosso, chimicamente identica alla caffeina, contenuta nelle piante di Paullinia cupana presenti nella Foresta Amazzonica. Per effetto dell’alto contenuto lipidico del seme di guaranà che rallenta il rilascio del principio attivo, gli effetti del guaranà non sono immediati come quelli delle tradizionali bevande contenenti caffeina, quali caffè o altre bevande. Questo eccitante è usato dagli indigeni della zona Satéré Mawé per resistere a lunghi digiuni nella foresta. È presente nel guaranito e nei prodotti a base di guaranà nativo.

Nel 1827, M. Oudry ha isolato la teina dal tè: l’identità chimica con la caffeina è stata dimostrata in seguito da Gerardus Johannes Mulder e da Carl Jobst dopo che, verso la fine del XIX secolo, la struttura della caffeina è stata chiarita da Hermann Emil Fischer, il primo a raggiungere la sua sintesi totale, parte del lavoro per il quale gli è stato assegnato il Premio Nobel per la chimica nel 1902.

 Hermann Emil Fischer, premio Nobel 1902 per la chimica in riconoscimento dei suoi risultati nella sintesi dello zucchero e delle purine (fra cui la caffeina).

 La diversa percezione degli effetti dell’ingestione di bevande ricavate da varie piante contenenti caffeina potrebbe essere spiegata non solo dal diverso dosaggio di caffeina, ma anche dal fatto che queste bevande contengono miscele variabili di altri alcaloidi metilxantinici, tra cui gli stimolanti cardiaci teofillina e teobromina, e polifenoli che possono formare complessi insolubili con la caffeina.

Un’altra cosa da considerare è che dato che è contenuta in parti diverse della pianta, come le foglie o i semi il suo trattamento successivo e i metodi di estrazione usati influiscono pesantemente sulle quantità e sulle altre molecole presenti e dunque sull’effetto finale raggiunto. In modo assolutamente indicativo si tenga presente la seguente tabella:

La caffeina può aumentare la produzione di neurotrasmettitori come l’adrenalina, che può contribuire all’aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. 

Questo effetto può essere responsabile della sensazione di aumentata energia e vigore dopo aver consumato bevande contenenti caffeina.

Uno dei ruoli più discussi della caffeina riguarda il suo impatto sul metabolismo. 

Studi scientifici hanno suggerito che la caffeina possa aumentare temporaneamente il metabolismo basale, cioè la quantità di energia che il corpo utilizza a riposo. 

In secondo luogo poiché la caffeina è anche un inibitore della fosfodiesterasi che converte il cAMP (secondo messaggero per l’azione dell’adrenalina) nella sua forma aciclica AMP, prolunga l’effetto di queste sostanze e altre simili come l’anfetamina, la metanfetamina e il metilfenidato. Inoltre, queste azioni della caffeina facilitano la trasmissione di dopamina (neurotrasmettitore vincolato con la motivazione) e del glutammato (con la memoria).

L’utilizzo prolungato di caffeina porta a tolleranza. Viene completamente assorbita nello stomaco e nel tratto iniziale dell’intestino nei primi 10 minuti dopo l’ingestione e raggiunge la massima concentrazione in sangue dopo i 45 minuti. Viene poi distribuita lungo tutto il corpo nei fluidi corporei.

Fonti usate oltre i lavori e le figure citati:

https://www.psychiatrictimes.com/view/caffeine-as-a-competitive-antagonist

https://it.wikipedia.org/wiki/Alcaloidi

https://theory.labster.com/it/caffeine-binds-adenosine-receptor

https://it.wikipedia.org/wiki/Caffeina

Why Does Coffee Have Caffeine? (Coffee’s Secret Weapon) Caffeine

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK202233

le parti in italico sono riportate tal quali da altre fonti.

Medaglia Giacomo Levi 2024

Chimica Industriale - News - 24 March, 2024 - 23:13

Bando Medaglia Giacomo Levi

A tutti i soci della Divisione di Chimica Industriale

La Divisione di Chimica Industriale della SCI conferisce quest'anno la Medaglia Giacomo Levi che verrà formalmente assegnata al vincitore in occasione del XXVIII Congresso Nazionale della SCI (SCI2024), che si terrà a Milano dal 26 al 30 agosto 2024. 

Con la presente viene aperta a tutti i soci della Società Chimica Italiana la possibilità di presentare le candidature seguendo il regolamento qui allegato.

Sono escluse le autocandidature.

Le segnalazioni, complete di tutta la documentazione richiesta, dovranno pervenire al Presidente della Divisione di Chimica Industriale (Mario Marchionna Mario.Marchionna@saipem.com) tassativamente entro il 13 maggio 2024.

Medaglia Chiusoli 2024

Chimica Industriale - News - 24 March, 2024 - 23:11

Bando Medaglia Chiusoli

A tutti i soci della Divisione di Chimica Industriale e del Gruppo Interdivisionale di Catalisi (GIC) della SCI

La Divisione di Chimica Industriale della SCI conferisce quest'anno la Medaglia Giampaolo Chiusoli che verrà formalmente assegnata al vincitore in occasione del  XXVIII Congresso Nazionale della SCI (SCI2024), che si terrà a Milano dal 26 al 30 agosto 2024.

Con la presente viene aperta a tutti i soci della Divisione di Chimica Industriale e del GIC la possibilità di presentare le candidature seguendo il regolamento qui allegato.

Sono escluse le autocandidature.

Le segnalazioni, complete di tutta la documentazione richiesta, dovranno pervenire al Presidente della Divisione di Chimica Industriale (Mario Marchionna Mario.Marchionna@saipem.com) tassativamente entro il 13 maggio 2024.

Io sono Marie Curie

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 24 March, 2024 - 10:35

Recensione.

Alessandro Maria Morelli*

Sono rimasto piacevolmente sorpreso per i successi ottenuti dalla mia allieva Sara Rattaro che nel 1999 si laureò in Biologia discutendo una tesi sperimentale in chimica biologica preparata frequentando il laboratorio dell’Università di Genova, di cui il sottoscritto era il coordinatore.

La sorpresa nasce dal fatto che la mia allieva ha conseguito notorietà e fama non in biologia ma in ambito letterario/narrativo. Sara Rattaro ha scritto numerosi romanzi di grande successo, ha conseguito prestigiosi riconoscimenti come il premio Bancarella e il suo ultimo libro  “Io sono Marie Curie” – Ed. Sperling & Kupfer – è incentrato sulla vita della scienziata polacca Marie Skłodowska Curie.

La stesura di questo libro potrebbe essere collegata al master in comunicazione della Scienza “«Rasoio di Occam» che Sara Rattaro ha frequentato a Torino, ma sta di fatto che questo romanzo certamente contribuisce alla divulgazione della scienza e non può che appassionare chi professa una attività scientifica nel campo delle cosiddette scienze “dure” come la fisica e la chimica, materie per le quali la Curie fu insignita di ben due distinti premi Nobel (rispettivamente nel 1906 e nel 1911).

Le difficoltà di inizio ‘900, che oggi potrebbero apparire insormontabili, furono affrontate da madame Curie con una forza e una determinazione straordinarie ed erano sostenute da un eccezionale intuizione scientifica. Il libro di Sara Rattaro ci fornisce anche un quadro avvincente della vita privata di Marie Curie come moglie, madre ed anche amante.

 Sara Rattaro, Ed Sperling&Kupfer, p. 208, euro 17.90

Scorrendo le pagine di questo libro il lettore viene a conoscenza di tanti scienziati che collaborarono a vario titolo con madame Curie, come  il marito Pierre Curie (che condivise con Marie il Nobel per la fisica), Paul Langevin  (ideatore del sonar per l’individuazione dei sommergibili), il chimico-fisico Jean Battiste Perrin (noto per aver determinato la costante di Avogadro), Antoine Henri Becquerel (pioniere nello studio della luce polarizzata), Lord Kelvin (l’ideatore della scala assoluta della temperatura) , Émile Borel (insigne matematico fondatore della teoria dei giochi) e lo stesso Albert Einstein, del quale il libro della Rattaro riporta una lettera che esprime sconfinata ammirazione per madame Curie.

Il romanzo non solo ha valore in sé come opera letteraria, ma a pieno titolo acquisisce notevole valore pedagogico per la divulgazione della cultura scientifica.

* Alessandro Maria Morelli, laureatosi in chimica a Genova nel 1968, professore ordinario di Chimica Biologica dal 1986. Ha svolto ricerche in vari ambiti della biologia: realizzato in vitro la correzione del deficit genetico della Glucosio-6P Deidrogenasi,  scoperto la proteina Fx, contribuito all’individuazione di alcuni bersagli biomolecolari danneggiati dai campi elettromagnetici, elaborato la teoria di base dell’Elettrostretching di Proteine, studiato le alterazioni mieliniche a seguito di chemioterapia,  scoperto la sintesi aerobica extramitocondriale di ATP nella guaina mielinica ipotizzando per essa il ruolo di accumulatore protonico che sta alla base di una teoria del sonno.

Dal 1973 è in pensione ma continua a svolgere intensa attività di ricerca e divulgazione (https://www.biochemlab.it/ )

Giornata mondiale dell’acqua: una modesta proposta

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 21 March, 2024 - 16:54

Mauro Icardi

La giornata mondiale dell’acqua, come tutte le altre ricorrenze simili, corre il rischio di trasformarsi in qualcosa di didascalico. Forse di banalizzarsi.

Ho con l’acqua un rapporto particolare, che è iniziato sin da quando ero un bambino curioso che ci giocava, riempiendo e svuotando per interi pomeriggi bottigliette che avevano contenuto succo di frutta. Mia nonna teneva un mastello prima di zinco, poi dell’indistruttibile e diffusissimo moplen nel cortile. L’acqua che aveva faticosamente attinto con il secchio legato a una carrucola era a disposizione per le necessità più diverse. Dall’igiene personale, al lavaggio del bucato, all’irrigazione dell’orto. Probabilmente la manualità di laboratorio devo averla sviluppata proprio in quegli assolati pomeriggi.

In quegli anni ho imparato una prima, basilare lezione: non bisognava sprecare nemmeno una goccia d’acqua. Io infatti, riempivo le bottigliette versando poi l’acqua nuovamente nel mastello.

Forse può sembrare un gioco stupido, ma per esempio mi ha aiutato a comprendere e a percepire meglio le proprietà fisiche dell’acqua, come la viscosità. E via via tutte le altre che avrei poi studiato negli anni a venire.

Per conoscere e rispettare l’acqua, per festeggiare in maniera coerente la giornata mondiale che tutti gli anni le dedichiamo, io ho un suggerimento.

Riprendiamo in mano i libri scolastici, quelli divulgativi e rileggiamoli senza l’assillo degli esami universitari o dei compiti in classe.

Rileggiamo cosa sono e significano alcuni concetti: il calore latente di evaporazione, la legge di Raoult, la chimica delle soluzioni acquose. L’infinito potere solvente che il composto dalla formula più conosciuta al mondo ha nei confronti di un numero elevatissimo di molecole. Se si ha voglia di capire la meraviglia dell’acqua, questi sono solo alcuni degli stimoli e dei suggerimenti.

Quello che propongo non sono i deliri o i vaneggiamenti di un chimico di mezza età, o per brevità diversamente giovane. E’ un invito che a mio modo di vedere potrebbe avere alcuni benefici.

Risolverebbe le infinite diatribe familiari, o le discussioni sui social, su quando sia opportuno aggiungere il sale nell’acqua in cui stanno cuocendo gli spaghetti.

Eviterebbe di poter sentire gli strafalcioni di due persone che anni addietro, sedute in autobus dietro di me, sostenevano di avere ricevuto una esosa bolletta dell’acqua potabile. Nella quale a loro dire fossero stati contabilizzati troppi “metri quadri di acqua”.

Forse leggere di acqua potrebbe anche smuovere il senso di civico di accaldati cittadini che riempiono piscine con acqua potabile, nelle nostre estati sempre più afose e assolate. Quando magari viene emanata un’ordinanza che invita alla parsimonia e che vieta espressamente di utilizzare l’acqua per questa finalità.

Maggiore è la conoscenza, maggiore potrebbe essere la tutela di questo bene comune.

Affido a Talete la chiusura di questa mia modesta proposta augurando a tutti i lettori di questo blog una buona giornata dell’acqua.

“L’acqua è la sostanza da cui traggono origine tutte le cose; la sua scorrevolezza spiega anche i mutamenti delle cose stesse. Questa concezione deriva dalla constatazione che animali e piante si nutrono di umidità, che gli alimenti sono ricchi di succhi e che gli esseri viventi si disseccano dopo la morte.”

Scienza e fede: “come” e “perché”

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 18 March, 2024 - 18:35

Vincenzo Balzani, prof. emerito UniBo

(già pubblicato su Avvenire, Bologna sette, 10 marzo 2024)

Cos’è l’Universo, che nel linguaggio comune chiamiamo il mondo e, nel linguaggio biblico il creato? Il primo libro della Bibbia, Genesi, inizia con “In principio Dio creò” e riporta poi due racconti della creazione. Il primo è basato su uno schema di sette giorni: Dio crea la luce, il firmamento, separa la terra dalle acque e crea le piante, poi crea il Sole e la Luna, i pesci e gli uccelli, gli animali terrestri e, infine, l’uomo, a sua immagine e somiglianza; il settimo giorno si riposò. Nell’altro racconto l’uomo è creato per primo e tutto il resto viene creato in sua funzione.

Genesi non è un libro scientifico. Non è, cioè, un resoconto dell’attività di Dio che ci viene dato per risparmiarci la fatica e toglierci la bellezza di scoprire mediante la scienza la storia dell’Universo. Quello di Genesi è un racconto simbolico che vuole farci conoscere una verità di fede: tutto è stato creato da Dio, per amore dell’uomo, sua creatura privilegiata.

Gli scienziati sono persone curiose. Stupiti davanti alla complessità e alla bellezza del mondo che li circonda, si fanno domande su come il mondo funzioni osservando la natura e anche mediante esperimenti.  Più intelligente è la domanda, più importante è la risposta che si ottiene. Secondo l’opinione di molti scienziati, le grandi scoperte della scienza saranno risposte a domande che non siamo ancora in grado di formulare.

Il continuo progredire della scienza mostra che la realtà è molto più grande di noi. Gli scienziati aprono ad un ad una le porte dell’Universo, sia sul versante dell’infinitamente piccolo (molecole, atomi, particelle elementari) che su quello dell’infinitamente grande (pianeti, stelle, nebulose). Sanno bene, però, che aprendo una porta ci si viene a trovare in una stanza dove ci sono almeno altre due porte da aprire ed esplorare. Ogni scoperta, infatti, genera più domande di quelle a cui dà risposta. Lo ha detto, poeticamente, John Priestley, uno dei primi scienziati che ha studiato la fotosintesi: “Più grande è il cerchio di luce, più grande è il margine dell’oscurità entro cui il cerchio è confinato”.

Per quanto possa sembrare strano, i racconti di Genesi e le teorie scientifiche sull’Universo si possono tenere assieme. E’ sbagliato pensare che la creazione in senso materiale sia avvenuta letteralmente nei tempi e nei modi del racconto di Genesi, ma è sbagliato anche pensare che la storia dell’Universo, così come ce la presenta la scienza, sia di per sé sufficiente e che quindi non ci sia bisogno di Genesi. La scienza e la sacra Scrittura sono chiaramente su due piani diversi. Quello della scienza è un tentativo di dare una risposta alle domande come si è formato l’Universo e in esso come si è formato l’uomo. Genesi risponde, secondo la fede, alle domande di senso, più profonde, che sono fuori dalla portata della scienza: perché c’è l’Universo? che senso ha la mia vita? perché c’è il male? C’è quindi molto spazio per quello che non conosciamo, dai come a cui la scienza non riesce a rispondere ai perché della fede, fino alle domande finali sull’esistenza di Dio.

Ammoniaca inaspettata.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 15 March, 2024 - 08:25

Claudio Della Volpe

La produzione di ammoniaca sintetica è una delle industrie più importanti del pianeta e la organicazione dell’azoto che ne discende ha cambiato completamente l’industria bellica e l’agricoltura oltre a costituire una delle fonti più potenti di alterazione ambientale, con l’immissione in circolo di una quantità di azoto che supera quella organicata naturalmente.

E’ uno dei limiti planetari che abbiamo infranto, distruggendo quello che una volta si chiamava “ciclo dell’azoto” che è adesso fuori equilibrio; anche se nessuno ne parla se non in positivo, per ricordare l’effetto sull’agricoltura umana, sta di fatto che la produzione di ammoniaca sintetica è alla base dell’inquinamento da nitrati di laghi, fiumi ed oceano; l’incremento stabiliante di produttività agricola viene sfruttato soprattutto per alimentare l’industria zootecnica, non certo per risolvere i problemi di fame che ancora affliggono parte dell’umanità.

Inoltre la produzione di ammoniaca non è certo gratuita dal punto di vista energetico e anche dal punto di vista stechiometrico; per ogni ton di ammoniaca si producono all’incirca il doppio di ton di CO2, che non dimentichiamolo è un gas serra.

Da dire infine, per completare il quadro, che l’ammoniaca potrebbe essere un modo, alternativo all’idrogeno, per accumulare energia in eccesso dalle rinnovabili usandola poi nei periodi invernali o notturni.

Oggi voglio parlarvi di un nuovo metodo di produzione di ammoniaca ancora più facile di quello tradizionale o dei metodi elettrochimici con i quali pur si cerca di ridurne l’impatto; un recente lavoro su PNAS illustra la produzione di ammoniaca a partire da azoto ed acqua a t ambiente.

https://www.pnas.org/doi/epdf/10.1073/pnas.2301206120

Scrivono gli autori, sintetizzando in modo molto efficace la situazione presente:

L’ammoniaca (NH3) è il più semplice composto stabile di idrogeno e azoto. È il materiale di partenza per la produzione di molti composti contenenti azoto, ma il suo uso principale è quello di fertilizzante. Anche il nitrato di ammonio, il solfato di ammonio e l’urea sono fertilizzanti alternativi convertiti dall’ammoniaca (1). La produzione di ammoniaca su larga scala avviene tramite il processo Haber-Bosch, in cui l’azoto (N2) e l’idrogeno (H2) reagiscono ad alta pressione (da 80 a 300 atm) e ad alta temperatura (da 300 a 500 °C) in presenza di un catalizzatore (solitamente ossido di ferro magnetico, Fe3O4) per formare ammoniaca: N2+ 3H2→ 2NH3 (2). La fonte di idrogeno è solitamente il metano (gas naturale), che viene fatto reagire con vapore a 700-1.000 °C e a una pressione di 3-25 atm. Si formano idrogeno, monossido di carbonio e una quantità relativamente piccola di anidride carbonica: CH4 + H2O → CO + 3H2 (+ piccola quantità di CO2).  Successivamente, il monossido di carbonio e il vapore vengono fatti reagire utilizzando il nichel come catalizzatore per produrre anidride carbonica e altro idrogeno: CO + H2O → CO2 + H2. Per ogni tonnellata di NH3 sintetizzata da H2 con il processo Haber-Bosch vengono emesse da 1,8 a 2,1 tonnellate di CO2 (3). Nel 2021, la quantità di NH3 prodotta ha superato i 150 milioni di tonnellate, corrispondenti alla produzione di circa 300 milioni di tonnellate di CO2 associate all’H2 proveniente dalla vaporizzazione del metano. Si stima che la sintesi di ammoniaca sia responsabile di oltre il 2% del consumo energetico globale (4) e di circa l’1% della CO2 atmosferica. Di conseguenza, c’è molto interesse nello sviluppo di un metodo per produrre ammoniaca su larga scala con un danno sostanzialmente minore per l’ambiente. Descriviamo un metodo per la formazione di ammoniaca da acqua e azoto a temperatura ambiente e pressione atmosferica senza ricorrere alla fotochimica o all’elettrochimica.

Ho messo in neretto le frasi più significative.

Quale è il metodo usato? In apparenza è molto semplice e viene descritto dalla prima figura del lavoro:

 In sostanza goccioline di acqua ed azoto od aria (dunque anche in presenza di ossigeno) ad alta pressione si incontrano su una griglia di grafite ricoperta di Nafion e ossido di ferro; nel flusso in uscita si riscontra la presenza di ammoniaca ed idrazina in concentrazione significativa, ma non altissima.

Se avessimo una griglia di 1 metro quadro e lavorassimo per un’ora alla fine avremmo 1 mole di ammoniaca, 17grammi.

Il meccanismo proposto coinvolge la presenza di ioni idronio all’interfaccia delle gocce e l’abbondanza di H+ alla superficie del nafion; calcoli DFT confermano il meccanismo.

Il risultato è massimo quando non si usano né calore (30°C) né elettricità (campo applicato nullo) e dunque il costo energetico si riduce alla compressione del gas e all’uso del catalizzatore oltre ai processi di separazione a partire però da materie prime tutto sommato semplici e disponibili.

Comunque una valutazione energetica completa non è ancora disponibile.

E’ tuttavia chiaro che si apre una strada che facilita la produzione di ammoniaca; sapremo governare positivamente questa nuova possibilità? O sarà solo l’occasione per incrementare produzione e profitti?

Le nuove scoperte sono sempre benvenute ma a patto di governarle per il bene comune non per quello di pochi. E al momento il bene comune è di ridurre gli impatti legati alla produzione e all’uso eccessivo di concimi di sintesi.

La chimica della discarica

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 11 March, 2024 - 18:27

Mauro Icardi

Quasi tutto il mio percorso lavorativo e professionale si è svolto nel campo della protezione ambientale. Acque reflue e rifiuti hanno molte cose in comune, sia dal punto di vista delle tecniche gestionali, sia come rappresentazione dell’assuefazione ad un consumismo compulsivo. Sono forse i fenomeni che meglio rappresentano l’epoca che viviamo, ormai definita antropocene. Questa volta non voglio occuparmi di acqua ma di rifiuti.

Il percolato può essere definito come quel liquido che liscivia attraverso i rifiuti solidi. Si origina dal liquido che entra nella discariche da sorgenti esterne come la pioggia, l’acqua sotterranea, e il liquido prodotto dalla eventuale decomposizione dei rifiuti. Quando l’acqua percola attraverso i rifiuti solidi che si stanno decomponendo, sia il materiale biologico sia i costituenti chimici vengono lisciviati.

Il percolato che viene raccolto per essere trattato e poi smaltito non ha una composizione chimica costante, ma variabile in funzione delle tipologie di rifiuti che vengono conferiti nelle discariche, e dagli anni di funzionamento. Inizialmente nella massa dei rifiuti si innesca una fase aerobica di idrolisi di proteine e carboidrati, con formazione di CO2 che dissolvendosi in acqua rende il percolato debolmente acido, facilitando la dissoluzione di sostanze minerali. In questa fase il percolato presenta valori elevati di COD.

Quando tutto l’ossigeno è stato consumato inizia una fase di fermentazione acida instabile, sono coinvolte diverse specie di batteri che ossidano acidi grassi, zuccheri e aminoacidi. A partire dal glucosio si possono formare gli acidi organici acetico, butirrico e propionico che insieme alla CO2, la cui concentrazione continua ad aumentare, fanno abbassare il pH del percolato fino a valori compresi tra 5,5 e 6,5.

Una ulteriore stabilizzazione della fermentazione dei rifiuti avviene nella fase acida stabile, che precede quella in cui avviene la produzione di biogas, ovvero quando i batteri metanigeni trovano le condizioni ottimali (valori di pH compresi tra 6,5 e 7,5). Il percolato che si produce è stabilizzato, caratterizzato da bassi valori di BOD5 e rapporti BOD5/COD attorno a 0,1. Il pH aumenta assumendo valori prossimi alla neutralità (compresi tra 6 e 8), azoto ammoniacale, cloruri, solfati sono comunque presenti, i metalli tendono a precipitare.

Nella cosiddetta fase di maturazione, che in genere segue il periodo in cui non si conferiscono più rifiuti, il percolato ha una composizione nella quale sono presenti per la maggior parte acidi umici e fulvici difficilmente degradabili.

 Vorrei precisare che sto utilizzando il termine fermentazione, anziché quello di digestione anaerobica, per una mia personale deformazione professionale. Ovvero il processo di digestione anaerobica dei fanghi viene gestito e ottimizzato con il controllo dei parametri di processo durante il caricamento del digestore anaerobico. Nel caso di una discarica ci sono fasi diverse di lavorazione, quali il compattamento degli strati di rifiuti, la loro eventuale copertura, il controllo della tenuta dell’impermeabilizzazione del fondo.  

Il percolato ed il biogas che si originano vengono gestiti e captati con le migliori tecnologie, ma il termine digestione anaerobica io lo associo al trattamento dei fanghi di risulta, anche se dal punto di vista biochimico le reazioni sono le stesse. Nel caso dei fanghi il digestore anaerobico è un reattore vero proprio. Nel caso di una discarica vi è la gestione di un processo spontaneo di fermentazione della massa di rifiuti che sono conferiti, l’eventuale trattamento del percolato, o il suo conferimento a impianti di trattamento.

Nelle discariche si può effettuare un ricircolo del percolato (altra analogia con quanto avviene negli impianti di depurazione, ma con finalità completamente diverse, l’analogia è decisamente solo terminologica).Il ricircolo del percolato all’ interno della discarica viene operato per garantire un adeguato contenuto d’umidità dei rifiuti e così accelerare la velocità di degradazione.

Il percolato prodotto è, per utilizzare un termine discorsivo, un cliente difficile. Sia dal punto di vista analitico, per la complessità della matrice, sia dal punto di vista del trattamento. La sua variabilità di composizione nel tempo è il fattore principale che richiede quindi controlli e valutazioni appropriate.

In generale un percolato “giovane” può, in determinate condizioni, subire un trattamento aerobico, mentre per altri si può ricorrere al trattamento anaerobico, all’evaporazione, all’osmosi inversa. O combinare i trattamenti in più fasi successive. Per percolati con elevate concentrazioni di azoto ammoniacale si può ricorrere alla tecnica dello strippaggio.

Anche il percolato non sfugge alla contaminazione da PFAS, e negli ultimi anni diversi dipartimenti dell’Arpa in diverse regioni stanno iniziando a raccogliere dati, e a iniziare studi scientifici. La chimica ambientale, la chimica modesta sono pronte a dar loro una mano.

La tendenza, oserei dire arcaica, di disfarsi dei residui delle nostre attività come esseri umani, in buchi nel terreno, o scaricando nei corpi idrici non è ovviamente la scelta più saggia.  Per questa ragione sarebbe opportuno ripensare al nostro modo di vivere. Educandoci ad un atteggiamento più responsabile nei confronti dell’ambiente. Invece mi sembra di notare che, rispetto ad un passato nemmeno tanto remoto, siamo peggiorati come cittadini. Io che viaggio in bici e in treno vedo ogni giorno di più distese di plastica e centinaia di mozziconi di sigarette praticamente ovunque. Sui bordi delle strade come nelle rotaie delle linee ferroviarie. Nel 1961 venne prodotto un cortometraggio Disney che in Italiano è stato intitolato “Paperino e l’ecologia”, o “Paperino lo sporcaccione”.

Si trova facilmente in rete ed è consigliabile la visione, sia ai bambini che agli adulti che dovrebbero educarli. Il famoso papero con giacchetta alla marinara è lo sporcaccione, declinato in moltissime varianti. La riflessione più amara che si può fare su questo cartone animato è quella che viene enunciata in apertura: lo sporcaccione “In un solo weekend riesce a produrre sudiciume pari a tre volte il proprio volume!”

Nessuna tecnica di trattamento, per moderna che sia può funzionare contro questa deprecabile tendenza.

Perché siamo noi quelli che riempiamo discariche e strade dei nostri rifiuti. E poi magari contestiamo un nuovo depuratore o un nuovo impianto di trattamento di rifiuti o di percolato. Riflettiamoci con maggiore attenzione per favore.

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