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BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA'

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Nell’Antropocene, l’epoca geologica attuale fortemente caratterizzata dalle attività dell’uomo, la Chimica ha il compito di custodire il pianeta e aiutare a ridurre le diseguaglianze mediante l’uso delle energie rinnovabili e dell’economia circolare.
Aggiornato: 11 ore 47 min fa

La chimica e la meccanica quantistica.1.

17 novembre, 2025 - 08:29

Claudio Della Volpe

Titolone, eh? Ma non ho intenzione di fare/dare lezioni; è solo che ho alcune cose da dire sul tema.

La prima è che noi chimici tendiamo ad essere l’esatto bersaglio della frase attribuita a Feynman (cosa mai provata e la frase era di altri, leggetevi questo post): Zitto e calcola!

Nel senso che siamo dei calcolatori, usiamo di solito dei programmoni commerciali o pubblico dominio (per forza con quello che costano gli altri!) per fare dei conti che poi pubblichiamo o che servono a confermare o meno ipotesi varie, ma raramente ci fermiamo sui fondamenti; e a me questa cosa non sta bene.

Nonostante questo abbiamo preteso (o almeno alcuni di noi) di insegnare “gli orbitali” nella scuola secondaria, una cosa che secondo me sta fuori della grazia di dio, inutile e controproducente; le funzioni si studiano solo in alcune secondarie e dunque cosa ci capiscono gli studenti?

Ma poi uno degli effetti del “calcolismo” è che rimaniamo fuori del grande flusso culturale che esiste fra altri utenti della MQ a partire dai teorici, ma non solo; molte cose importanti scritte sul tema sono senza equazioni, badate, senza-equazioni; e questo fa riflettere, sono cose che si possono leggere senza conoscere chissà quali matematiche astruse. Ma non sono semplici per questo; mi ricordano certe parti di Hegel che mi facevano venire il mal di testa.

Badate non è che io abbia dubbi sui calcoli e sui risultati; no, affatto. Io ho dubbi sul significato da attribuire ai risultati; sul mondo che sta dietro ai numeri.

Un esempio di come la chimica si tira indietro sui temi fondamentali è questo.

Noi chimici manipoliamo molecole e dunque siamo nella condizione migliore per chiederci: esistono molecole così grandi da comportarsi come oggetti classici? O meglio quanto può essere grande una cosa per potersi comportare nei vari modi in cui si comportano gli oggetti quantistici?

Su questo sappiamo che ci sono dei limiti non ben definiti, il tema è aperto; per esempio ci sono esperimenti che dimostrano comportamenti quantistici in oggetti pesanti microgrammi, 16 microgrammi, un cristallo di zaffiro (sovrapposizione di stati), in molecole di migliaia di atomi, oligoporfirine di 2000 atomi pesanti circa 25mila Dalton (interferenza con la doppia fenditura)*, ma non fanno parte dei settori in cui i chimici si impegnano molto attivamente.

In questo post parleremo degli esperimenti con SINGOLE PARTICELLE, fotoni o elettroni che si comportano individualmente in modo quantistico; escluderemo così che il problema quantistico sia un comportamento puramente “statistico”.

L’immagine che segue è relativa all’esperimento con il fullerene perché secondo me più suggestiva di altre; si tratta di risultati ottenuti con fullerene a 900°C; il fullerene è fatto di 60 atomi, pesa 720 Dalton e ha una lunghezza di de Broglie in quelle condizioni di qualche pm.

https://www.quantumnano.at/research/universal-matter-waves/far-field-diffraction/the-origin-c60-diffraction/

Fig. 1 In alto: in un fascio termico di fullerene la dispersione di velocità ammonta a circa il 60% della velocità centrale. La coerenza longitudinale è quindi sufficiente solo per generare frange di diffrazione di primo ordine.

In basso: utilizzando un selettore di velocità a disco scanalato è possibile ridurre la dispersione di velocità a solo 1/6 della velocità centrale. Ciò consente di osservare anche ordini di diffrazione più elevati.

Vorrei che fosse chiaro il senso di questi risultati; se voi sparate palline solide attraverso una fenditura non avrete diffrazione e attraverso due non avete interferenza, ma due distribuzioni casuali; mentre con le onde avete interferenza:

Fig. 2 Confronto del comportamento di diffrazione da doppia fenditura di onde e particelle.

Il confronto fra luce a particelle era iniziato nel 1801 con l’esperimento di un multiforme genio moderno il medico Thomas Young, lo stesso che scoprì le leggi della tensione superficiale, il modulo di elasticità, pose le basi della tricromia e dell’emodinamica, tradusse il testo demotico della stele di Rosetta e fece il primo esperimento di doppia fenditura della luce, pubblicato poi solo nel 1807.

Nel 1887 Heinrich Hertz scoprì l’effetto fotoelettrico che fu spiegato con la natura corpuscolare della luce da Albert Einstein, nel 1905 e poi più compiutamente nel 1909. Fu solo in quel medesimo anno, oltre un secolo dopo Young, che si giunge (su indicazione di J.J. Thomson) ad una evoluzione dell’ esperimento di Young in accordo con la nascente teoria quantistica; usando una luce molto fievole e dunque usando non uno ma pochi fotoni alla volta, ci riuscì Geoffrey Ingram Taylor nel 1909. In realtà nell’esperimento di Taylor non si riescono a contare i fotoni, ci vorrà molto più tempo, diffidate da chi descrive questo esperimento come conclusivo: non lo ha letto!!!

Nel 1916 Millikan confermò sperimentalmente l’ipotesi di Einstein e misurò la costante di Planck.

Tenete presente che ancora oggi la cosa non è stata accettata compiutamente; prendete la figura precedente, l’avete guardata bene? È SBAGLIATA; poiché assume che i fotoni (prima immagine, le onde) siano diversi dagli elettroni, siano onde, ma non è così, anch’essi hanno una doppia natura: si comportano da particelle o onde a seconda di come li analizziamo.

Fu solo nel 1926 che Lewis inventò il nome di fotone.

Un vero esperimento di interferenza a singolo fotone fu condotto solo dopo la scoperta dell’antibunching; ossia dell’emissione controllata di fotoni singoli; la cosa è stata realizzata molto avanti nel tempo e dunque le date e i riconoscimenti “ballano” un po’.

Anzitutto ci sono voci critiche, che sono spesso trascurate; per esempio nel 1968 Lamb e Scully pubblicarono un lavoro che prova che per spiegare l’effetto fotoelettrico i fotoni non sono necessari, ma basta l’esistenza dei singoli elettroni. Si tratta di un modello definibile come semiclassico, ma matematicamente inattaccabile, un esempio che fare scienza è complicato. Il lavoro è praticamente privo di citazioni: la storia la fanno i vincitori no? Ve l’ho raccontato anche per i modelli atomici.

Il bunching invece è il fenomeno, la tendenza dei fotoni in un fascio luminoso emesso da una sorgente in equilibrio termico ad arrivare in gruppi, piuttosto che in modo strettamente casuale, ed è nota sin dai classici esperimenti di Hanbury Brown e Twiss, condotti nel 1954-1956 in ambito astrofisico e usati per determinare il diametro delle stelle. L’antibunching è dunque un metodo per ridurre od eliminare questa tendenza statistica ottenendo emissioni od assorbimenti di fotoni singoli.

La prova provata dell’esistenza di fotoni singoli parte dall’esperimento di Clauser del 1973 che conclude:

I risultati, con un elevato grado di accuratezza statistica, contraddicono le previsioni di qualsiasi teoria classica o semiclassica in cui la probabilità di fotoemissione è proporzionale all’intensità classica.

Ed infine l’antibunching viene realizzato completamente nei fenomeni di emissioni per fluorescenza da Kimble e collaboratori, ma siamo arrivati al 1977, isolando completamente l’emissione del singolo fotone, ambizione realizzata compiutamente solo nel 1986. Solo a questo punto può partire un metodo sperimentale che sia basato sull’uso del singolo fotone o sull’interferenza del singolo fotone con sé stesso.

Allora se la strada è stata così lunga per i fotoni, diversa da quella comunemente illustrata nei libri che leggiamo, nella chimica che studiamo o insegnamo, non ci stupirà trovare cose analoghe per gli elettroni.

La questione del comportamento ondulatorio degli elettroni comincia con l’esperimento di Davisson e Germer, che si riferisce al caso della diffrazione da un singolo cristallo e che fu presentata proprio durante il V congresso Solvay; ne parleremo nel prossimo post.

Per maggiore chiarezza e per introdurvi nello strano mondo in cui voglio introdurvi vi posto invece il risultato ottenuto da tre fisici italiani nell’ormai lontano 1976;

Fig. 3 Risultato sperimentale dell’esperimento di doppia fenditura con singoli elettroni condotto da Merli ed altri

Se siete rimasti a bocca aperta chiudetela e continuate a guardare.

Merli, Missiroli e Pozzi ** usando un comune apparato di analisi microscopica elettronica (un SEM) ottennero, a correnti crescenti i risultati in figura in un esperimento di interferenza con doppia fenditura in cui gli elettroni passavano UNO ALLA VOLTA; come vedete i risultati NON sono ondulatori, ma nemmeno particellari, ma inducono a pensare che gli elettroni passino UNO ALLA VOLTA, come pietre ma NON si sommino come pietre ma come onde.

Dunque gli elettroni non sono né onde né particelle, ma potremmo chiamarli “particelle guidate da onde”; concetto su cui torneremo. Immagine magnifica ma poco conosciuta e ai tre fisici italiani (che secondo me meritavano il Nobel) fu dato un premio ma al momento pochi se ne ricordano. L’esperimento si può ripetere con semplici apparati.

Analogo esperimento fu ripetuto 13 anni dopo da Tonomura, (che erroneamente o meno cercò di farlo passare come primo esperimento a singolo elettrone, il cattivone!!)

Fig. 4 Esperimento della doppia fenditura effettuato con elettroni singoli di Tonomura. Le immagini sono prese dopo l’invio di (a) 10, (b) 200, (c) 6.000, (d) 40.000, (e) 140.000 elettroni.

«Una volta si pensava che l’elettrone si comportasse come una particella e si scoprì poi che, sotto molti aspetti, si comporta come un’onda. Cosicché in realtà non si comporta in nessuno dei due modi. Ora abbiamo lasciato perdere. Diciamo: “non è né l’una né l’altra cosa”. Fortunatamente c’è uno spiraglio: gli elettroni si comportano esattamente come la luce. Il comportamento quantistico degli oggetti atomici (elettroni, protoni, neutroni e così via) è lo stesso per tutti, sono tutti “onde-particelle”, o qualunque altro nome vi piaccia dar loro

R. P. Feynman, R. B. Leighton, M. Sands, La Fisica di Feynman – 3 Meccanica quantistica, Zanichelli, Bologna 2007², p. I.1. Questo testo fu scritto negli anni 60, dunque prima di parecchi degli esperimenti di cui parliamo qui.

Torniamo all’argomento centrale; la questione che vorrei introdurre oggi (e nei prossimi post) è che insieme con i metodi di calcolo e di esperimento si passa in realtà una precisa filosofia, e questa filosofia non è del tutto necessaria, anzi secondo me (ed altri) è sbagliata, una visione idealistica della realtà.

L’obiezione non nasce da me ovviamente; fu fatta originariamente da tre criticoni di cui ho parlato altrove: Einstein, Podolski e Rosen; il loro approccio oggi si indica con le loro iniziali: EPR.

Le prime obiezioni si manifestarono nel 1927 al V congresso Solvay a Bruxelles, ma furono poi ufficializzate nel 1936 con la pubblicazione di un articolo firmato dai tre.

Quando si parla di questa storia, di solito, si evita di raccontare tutti i dettagli, sono scomodi, ma sono importanti e vorrei raccontarveli io.

Ho cominciato con questo e lo farò nei prossimi post.

(continua)

Consultati

Oltre a tutti i lavori presenti come link e che rappresentano una breve e certamente incompleta storia mai ben raccontata (guardatevi i singoli link, ci ho perso molto tempo a guardali uno per uno!!!) vi segnalo

http://l-esperimento-piu-bello-della-fisica.bo.imm.cnr.it/dichesitratta.html una pagina da leggere tutta con attenzione, molto ben fatta

https://physicsworld.com/a/the-double-slit-experiment/ la storia dettagliata dell’esperimento a doppia fenditura per l’elettrone, che comunque risente della antipatica situazione di Tonomura che ripete l’esperimento dei tre fisici italiani senza citarli; per questo il link è stato più volte aggiornato

https://seminaire-poincare.pages.math.cnrs.fr/grangier.pdf  la storia degli esperimenti sui fotoni, con ampia letteratura, merita una lettura

*In realtà non è una doppia fenditura ma un interferometro di Talbot-Lau con molte fenditure; la lunghezza d’onda di De Broglie misurata per le molecole porfiriniche è di 53fm, ossia 100mila volte inferiore alle dimensioni molecolari.

**Per completezza occorre dire che PRIMA dell’esperimento di Merli, Missiroli e Pozzi ci furono altri piccoli passi ma nessuno così completo sulla strada dell’interferenza di singoli elettroni in un esperimento a due fenditure; in particolare nei primi anni 50 Marton e collaboratori presso l’US National Bureau of Standards, provarono l’interferenza elettronica ma con una geometria diversa, Mach-Zender e con un fascio elettronico; e nella seconda metà degli anni 50 Möllenstedt e Duker svilupparono il biprisma, un modo per dividere un fascio elettronico in due e farli interferire, pubblicando il tutto in tedesco, cosa che ne restringeva la divulgazione. Stessa sorte ebbe uno studente di Möllenstedt, Claus Jönsson, che per primo nel 1961 fece un esperimento di interferenza che usava fasci elettronici e fino a 5 fenditure. Senza queste scoperte il lavoro di Merli ed altri non sarebbe stato possibile. Il lavoro di Jönsson è stato ripubblicato in inglese qui, ma solo nel 1974

Il piano UE per la Chimica.

11 novembre, 2025 - 16:16

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Nel recente mese di luglio, forse presi dalle vacanze vicine, è scappato ai commenti il nuovo piano per la Chimica della Commissione Europea.

Questo viene dopo quelli dei settori automobilistico e siderurgico. L’importanza del settore chimico viene oltre che dalla sua posizione, la quarta, nella classifica dei settori manifatturieri, anche dal numero di imprese europee in esso operanti, 29000, e dal numero di lavoratori, 1.200.000, che sostengono 19 milioni di Europei (le loro famiglie). Il piano affronta 3 importanti sfide: abbattimento dei costi energetici, concorrenza extra europea e debolezza della domanda, promuovendo responsabilità, sostenibilità ed innovazione.

All’interno del piano è anche presente una semplificazione normativa e legislativa delle sostanze chimiche con potenziamento dell’economia.

Sono 4 le misure proposte che compongono il piano.

La prima viene individuata come Resilienza di un’alleanza chimica europea per la identificazione dei siti produttivi critici, soprattutto con riferimento all’aspetto commerciale;

la seconda è finalizzata a disporre di risorse energetiche con norme chiare anche a protezione e sviluppo di nuove fonti, idrogeno in primis;

la terza è concentrata su incentivi e misure fiscali indirizzati alla decarbonizzazione;

la quarta punta alla riduzione delle emissioni dei PFAS.

Le misure secondo gli estensori del Piano dovrebbero garantire risparmi per 363 milioni di euro l’anno. Per quanto si riferisce alla semplificazione per ridurre i costi di conformità e gli oneri amministrativi per l’industria chimica, garantendo nel contempo un’elevata protezione della salute umana e dell’ambiente, rientrano in tale contesto varie iniziative.

La prima è la semplificazione delle norme relative all’etichettatura delle sostanze chimiche pericolose; seguono il chiarimento delle normative dell’UE sui cosmetici e l’agevolazione della registrazione dei prodotti fertilizzanti dell’UE mediante l’allineamento alle norme REACH.

È vero che per un’Europa forte, competitiva e sicura, abbiamo bisogno di un settore chimico fiorente, ma la protezione della salute delle persone e dell’ambiente deve andare di pari passo con il successo delle imprese.

Il rischio è che mediante il piano d’azione europeo per l’industria chimica si semplifichino le norme e si applichi una logica assistenzialistica industriale a danno della protezione della salute e dell’ambiente e della innovazione e circolarità.

Per approfondire:

https://single-market-economy.ec.europa.eu/document/download/e5006955-dd1c-45bc-8b7a-cfda71c67abf_en?filename=COM_2025_530_1_EN_ACT_part1_v6.pdf  il testo del piano

https://cen.acs.org/policy/trade/European-chemical-industry-action-plan/103/web/2025/07

un commento di C&E news

Translating lobby speak: What chemical industry’s ‘simplification’ plan really means

una critica ambientalista

Le Cose della Chimica e i loro Nomi.

7 novembre, 2025 - 16:43

1.Atomo

Silvana Saiello

La Chimica, questa sconosciuta!

Quali sono le difficoltà di comprensione della Chimica?

A questa domanda le risposte che ho ascoltato nel tempo sono le più disparate. Al di là della complessità della disciplina che spazia in amplissimi ambiti della ricerca e della conoscenza scientifica, esiste un problema di parole pronunciate troppo spesso senza conoscerne il significato.

La legittimazione da parte degli insegnanti a continuare a ripetere parole di cui lo studente ignori il significato legittima l’incomprensibilità della disciplina

Ci sono alcune parole di Chimica che sono utilizzate quasi quotidianamente da persone che ne ignorano il significato.

Ai miei studenti del primo anno di Università negli ultimi dieci anni del mio lavoro, proponevo la domanda che segue:

Quale immagine o idea si forma nella vostra mente quando ascoltate queste parole?

Le parole sono

1.Atomo,

2.Molecola,

3.Sostanza Semplice,

4.Sostanza Composta,

5.Formula Chimica,

6.Reazione Chimica,

7.Soluzione,

8.Solubilità

La scelta è caduta su queste otto parole perché se tutti gli studenti della mia classe avessero avuto consapevolezza di quali di queste parole conoscessero o meno il significato, il mio lavoro sarebbe stato molto semplificato. Purtroppo un numero molto molto limitato di studenti rispondeva in maniera adeguata, maniera che, come dicevo loro avrebbe potuto anche essere: Nessuna idea. Purtroppo questa risposta che denoterebbe una buona consapevolezza era un evento che non si è manifestato mai.

D’altro canto gli studenti hanno grande difficoltà a rispondere correttamente a una domanda la cui risposta è Zero o Nessuna cosache ritengo denoti una quasi completa assenza del pensiero critico, ma questa è un’altra storia e si racconterà un’altra volta.

La scelta è ricaduta su queste parole perché appartengono ai tre contesti nei quali è possibile inquadrare quasi tutti i concetti della Chimica.

Il contesto Macroscopico (Sostanza Semplice, Sostanza Composta, Soluzione, Solubilità) , quello Submicroscopico[1] (Atomo, Molecola) e quello Simbolico (Formula Chimica, Reazione Chimica).

Queste parole/concetti possono e devono richiedere livelli di approfondimento diversi durante il percorso scolastico da parte dei docenti, ma dal mio punto di vista, è possibile raccontarne una storia semplice anche ai primi stadi della formazione scolastica

Cominciamo da una parola molto conosciuta ATOMO.

Vorrei proporre una riflessione critica sulla costruzione di questo concetto non necessariamente in un percorso scolastico

E’ innanzitutto molto importante distinguere la conoscenza di una parola dalla conoscenza del suo significato. Troppo spesso questi due piani vengono sovrapposti e si confonde la conoscenza della parola con quella del suo significato.

Atomo: che cosa mi piacerebbe che una persona che ha concluso gli studi della scuola superiore conoscesse di questo “oggetto”.

Innanzitutto che è un oggetto talmente piccolo che non si riesce a vedere direttamente nemmeno con il più potente dei microscopi, che della sua esistenza si hanno solo prove indirette, che ogni Atomo “caratterizza” una Sostanza semplice[2]

Ma che cosa vuol dire caratterizza?

Stiamo mettendo nella stessa frase una parola/concetto che appartiene al contesto sub microscopico e una che appartiene al contesto macroscopico. Evidentemente ci deve essere una relazione tra i due contesti.

Cerchiamo di capire meglio.

Di Atomo si è cominciato a parlare nell’antichità quando i filosofi si cominciarono a chiedere se fosse possibile spezzettare gli oggetti in parti sempre più piccole. Ci sono state molte speculazioni di uomini di pensiero che si sono occupati di Atomi.

Slide 19 di Silvana Saiello

Molto interessante sarebbe discutere con gli insegnanti di lettere o filosofia sugli scritti nei quali si cominciava a parlare di Atomi un esempio per tutti il De rerum natura di Tito Lucrezio Caro

Quando parliamo di Atomi chiediamo agli studenti di credere a quello che affermiamo noi mentre dovremmo essere in grado di mettere gli studenti nelle condizioni di porsi domande e cioè di chiedersi e chiederci se abbiamo qualche prova indiretta o almeno qualche indizio della loro esistenza.

Prima di parlare di Atomi, però, bisognerebbe avviare una riflessione critica sulla natura particellare della materia discutendo il comportamento di un sistema gassoso.

Prima di parlare di Atomi dovremmo anche convincere i nostri interlocutori non solo che la materia è fatta di particelle [3] , ma anche che esistono le Sostanze semplici che sono diverse dalle Sostanze composte.

I contesti si avvicinano.

La mia proposta, nel percorso che proponevo ai miei studenti del primo anno del corso di laurea in ingegneria, parte da un racconto semplificato del ruolo che hanno avuto i numeri nella definizione delle leggi fondamentali della Chimica.

Chiamavo questa parte del percorso: I numeri la voce dei fatti.

Slide 23 di Silvana Saiello

Per gli interessati metto a disposizione le slide relative a questa parte del mio corso.

Alla prossima per la parola Molecola

[1] invisibile ai comuni microscopi

[2] Di ELEMENTO, si parlera’ in un’altra occasione

[3] Se vogliamo che un bambino della scuola primaria pronunci la parola Atomo in maniera consapevole dobbiamo innanzitutto convincerlo della Natura particellare della Materia, quindi discutere con lui su che cosa si intende per Materia e come mai ci siamo convinti che sia costituita da particelle piccole piccole che non riusciamo a vedere, con la consapevolezza che queste particelle non sono Atomi

[Un possibile percorso potrebbe essere quello di lavorare sull’evaporazione in particolare dell’Acqua]

Slide Atomo

7 novembre, 2025 - 16:29

Silvana Saiello

Il bicarbonato, un composto elusivo

2 novembre, 2025 - 13:08

Diego Tesauro

Il titolo di questo post può sembrare alquanto improbabile, in quanto tutti abbiamo fatto uso di bicarbonato (che per essere corretti nella nomenclatura IUPAC dovremmo chiamare idrogenocarbonato) di sodio per facilitare la digestione e ridurre l’acidità dovuta alla risalita dei succhi gastrici, come alternativa al lievito in ambiente acido oppure come detergente. Questo è vero se ci stiamo riferendo ai composti del bicarbonato in cui il catione è un elemento del primo gruppo della tavola periodica. Le cose cambiano se invece a neutralizzare le cariche sono cationi del secondo o del terzo gruppo o dei metalli di transizione. Nell’acqua, a seguito del ciclo del carbonio, collegato a quello del calcio nella crosta terrestre e nell’idrosfera, è l’anione più diffuso e la sua carica è neutralizzata dal catione calcio o magnesio. A fronte di questa larga disponibilità dell’anione, le cose cambiano se facciamo evaporare l’acqua oppure se l’allontaniamo per ebollizione. Il residuo che si deposita sulle nostre stoviglie quando riscaldiamo l’acqua infatti non è il bicarbonato di calcio (Ca(HCO3)2), ma il carbonato (CaCO3). Infatti a seguito del riscaldamento a temperature al di sopra dei 50°C il bicarbonato si trasforma in carbonato. La stessa reazione avviene quando la soluzione diventa satura e dovrebbe cominciare a precipitare. In realtà questo non avviene per la presenza dello ione calcio. La cristallizzazione, in particolare la formazione di composti ionici, è generalmente guidata da fattori termodinamici strettamente correlati all’energia reticolare, a cui contribuisce il legame interionico. Il bicarbonato di calcio, è un famoso esempio di questa comprensione classica perché le sue interazioni interioniche energeticamente sfavorevoli impediscono che venga isolato, lasciando elusiva la struttura di legame del calcio con il bicarbonato, come quelle di tutti gli altri metalli multivalenti. Recentemente sono stati sintetizzati cristalli di Ca(HCO3)2 migliorando la stabilità degli ioni bicarbonato in un ambiente a polarità relativamente bassa anziché in acqua liquida e successivamente ampliando la stessa strategia sono stati ottenuti cristalli di Sr(HCO3)2 e Ba(HCO3)2. I cristalli di bicarbonato di calcio sono stati ottenuti pompando CO₂ in una soluzione etanolica 6,8 mM di Ca2+ preparata sciogliendo CaCl₂·2H₂O in etanolo anidro con la basicità controllata con una soluzione 13,6 mM di NH3. CO₂ e H₂O hanno formato bicarbonato in presenza di alcali:

CO₂+H₂O+NH3→HCO3− +NH4+

Il bicarbonato è quindi precipitato con il calcio. La struttura del cristallo di bicarbonato di calcio è stata ottenuta tramite diffrazione elettronica 3D. I cristalli di Ca(HCO3)2 costuiti da legami ionici Ca–O presentano una struttura porosa diversa da quella delle tipiche strutture di carbonato e bicarbonato, indicando un’elevata forza di legame ionico teorica. Utilizzando calcoli quantistici, si rileva che il legame calcio–bicarbonato di per sé è relativamente stabile allo stato solido, mentre la polarizzazione del bicarbonato, indotta da metalli in mezzi ad alta polarità, come l’acqua liquida, aumenta il grado di instabilità del legame O–H, aumentando il suo carattere ionico, deprotonando il bicarbonato e impedendo la formazione di solidi di bicarbonato di calcio perché i solventi ad alta polarità contribuiscono a forti interazioni intermolecolari tra gruppi polari e stabilizzano le strutture polarizzate. In particolare, l’acqua liquida si traduce in una covalenza del legame O–H estremamente bassa. Mentre invece in solventi apolari il legame si stabilizza aumentando il suo carattere covalente (Figura1).

Figura 1 La diversa cristallizzazione del bicarbonato come bicarbonato e carbonato nelle condizioni di solvatazione di solventi polari ed apolari

La caratterizzazione è stata effettuata mediante la microscopia elettronica a scansione (SEM) e la microscopia elettronica a trasmissione (TEM). Le indagini microscopiche hanno mostrato che il precipitato presentava la tipica morfologia di particelle esagonali a forma di piastra (Figura 2) con un asse a 6 facce. La spettroscopia a dispersione di energia (EDS) ha rivelato che gli elementi in questi cristalli erano C, O e Ca. Inoltre i cristalli esagonali hanno mostrato modelli di diffrazione dei raggi X (XRD). La verifica che effettivamente fosse bicarbonato di calcio si basa oltre all’analisi vibrazionale IR, anche sulla spettroscopia 13C NMR, TG, diffrazione dei raggi X e tecniche correlate.

Figura 2 Immagini di microscopia elettronica a scansione (SEM (i–iii)) e di microscopia elettronica a trasmissione (TEM (iv)). La forma del cristallo è esagonale.

Questi risultati forniscono una struttura di riferimento per i sistemi metallo–bicarbonato e ampliano la comprensione classica dei legami metallo–bicarbonato, che potrebbe rivelare nuovi ruoli funzionali per carbonati e bicarbonati metallici.

L’ottenimento di cristalli di bicarbonato di calcio colma una lacuna storica sia nei libri di testo che nella ricerca contemporanea riguardante i composti ionici classici. La formazione di bicarbonato di calcio indica un percorso di formazione di composti ionici controllato dalla polarizzazione ionica attraverso associazioni di ioni solvatati, va oltre le considerazioni termodinamiche classiche, ispirando un quadro teorico per la valutazione della stabilità dei legami chimici localizzati e la successiva previsione delle tendenze di dissociazione o associazione delle specie ioniche.

Come esempio di frontiera, i cristalli di bicarbonato di calcio forniscono una finestra per misurare direttamente il legame multivalente omogeneo metallo-bicarbonato, che è impegnativo nelle strutture convenzionali ed è fondamentale per costruire campi di forza di interazione metallo-bicarbonato atomici accurati. Inoltre, considerando la stabilità teorica dei cristalli di bicarbonato di calcio, la loro struttura porosa può offrire nuove opportunità come quelle che hanno sancito il recente successo dei MOF.

Gli autori dello studio affermano che i cristalli di bicarbonato di calcio, come prodotti della mineralizzazione diretta tra ioni calcio e bicarbonato, ampliano i percorsi noti delle reazioni di mineralizzazione della CO2.  Data l’abbondanza di calcio nella crosta terrestre, tale conversione potrebbe ispirare percorsi artificiali rivoluzionari per la rimozione della CO2, ma la sua fattibilità dipenderà dalla regolazione della polarizzazione ionica, che richiede ulteriori studi. Ovviamente come spesso accade questo aspetto solo il futuro potrà dire se sarà foriero di effettive applicazioni o se risulterà, anche se importante, solo una curiosità scientifica.

Per approfondire:

K. Kong et al. “Synthesis of Crystalline Calcium Bicarbonate” J. Am. Chem. Soc. 2025, 147, 42, 38492–38499 https://doi.org/10.1021/jacs.5c12101

Allarme salviette.

26 ottobre, 2025 - 11:50

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Salviette usa e getta, comode, utilizzatissime, sopravvalutate sul piano igienico ed ambientale. Che sia per rinfrescarsi, igienizzarsi le mani o pulire i bambini, le salviettine monouso umidificate sono una pratica comune, specie quando si è fuori casa. Il conto ambientale di questa comodità è però salato.

Sia pure etichettate come biodegradabili o come compostabili di fatto rappresentano sempre un pericolo per ambiente e per i nostri sistemi di smaltimento e riciclo, a partire dalle fognature urbane. Quando vi finiscono all’interno tendono alla frantumazione ed a rilasciare residui fibrosi e nanoplastiche che ostruiscono i condotti di smaltimento ed inquinano l’ambiente.

Il mercato globale delle salviette umidificate è previsto in crescita, con un valore stimato che dovrebbe passare da circa 21,65 miliardi di dollari nel 2025 a 28,21 miliardi di dollari. La crescita è guidata dalla praticità d’uso, dalla facilità nel mantenere l’igiene e dalla maggiore consapevolezza igienica, specialmente tra i genitori. 

Anche le salviette etichettate come biodegradabili perché contengono più cellulosa, contribuiscono all’inquinamento, perché non si dissolvono completamente: in questi prodotti è sempre presente una parte di fibre sintetiche, il che significa che quando disperse nell’ambiente diventano comunque causa di inquinamento. Tra queste anche i prodotti con l’etichetta che invita a smaltire il prodotto nel wc, come le salviette igieniche: il confronto con la carta igienica, usata come standard di riferimento da una recente indagine ha mostrato che le salviette igieniche si disgregano in misura minima, in media del 3%. Ciò significa che, quando gettate nel wc e finché non raggiungono gli scarichi fognari, le salviette non diventano poltiglia – come avviene invece per la carta igienica, che nel giro di mezz’ora nell’acqua mostra un altro grado di disgregazione. Con il rischio di intasare non solo le tubature del bagno ma anche di contribuire alla formazione di rifiuti che creano problemi negli impianti di trattamento delle acque.

Dopo il Regno Unito, che ha messo al bando le salviette umidificate contenenti plastica, anche la Spagna è pronta a mettere un freno all’inquinamento che deriva dall’uso di questi prodotti: la nuova norma riguarda sia le salviette umidificate – incluse quelle destinate ai neonati, all’igiene personale e alla pulizia della casa – contenenti plastica sia quelle etichettate come biodegradabili che “non significa che possano essere gettate nel WC, poiché la loro degradazione nell’ambiente è limitata” si legge nella bozza del decreto.

Per questo motivo, il nuovo regolamento spagnolo vieterà sia l’abbandono diretto nell’ambiente sia di gettare le salviette umidificate nel water, per ridurre al minimo il loro impatto sulle strutture igienico-sanitarie “poiché non si disintegrano completamente, causano ostruzioni nel sistema fognario, riducendone la capacità di ritenzione idrica e aumentando il rischio di tracimazioni, soprattutto durante episodi di forti piogge” insiste la bozza.

Questo problema non solo compromette le infrastrutture urbane, ma genera anche scarichi diretti di rifiuti nei fiumi e in altri corpi idrici, contribuendo all’inquinamento da microfibre e danneggiando gli ecosistemi, soprattutto quelli acquatici. Anche se biodegradabili o se indicano la possibilità di essere smaltite nel wc, il decreto sconsiglia comunque di gettarle nel water, per evitare problemi ambientali e tecnici, inclusi intasamenti e contaminazione delle reti di depurazione.

Nell’ambito del suo speciale su 119 prodotti per la pulizia della casa, nel 2019 la rivista francese 60 millions de consommateurs ha analizzato anche 12 marche di salviette disinfettanti, multiuso e per il wc, per cercare di capire la loro composizione, la sicurezza per i consumatori e l’impatto ambientale. Quello che emerge è abbastanza chiaro: si tratta di prodotti che non dovremmo mai acquistare. Su 12 referenze, comprate in negozi e supermercati francesi (ma alcune delle quali presenti anche sul mercato italiano) un prodotto ottiene C, sei D e 2 E. Si fa riferimento al Ménag’Score, sistema di classificazione che valuta i prodotti in base ad una serie di parametri: ingredienti, la loro proporzione e i rischi chimici che rappresentano per la salute e l’ambiente, assegnandogli un punteggio che va da A (il migliore) ad E (il peggiore).Gli ingredienti contenuti in alcune salviette per pulire e che il test segnala come pericolosi per la salute è l’ambiente sono sostanze allergizzanti, sospetti interferenti endocrini o probabili cancerogeni:

acrilcopolimeri: una famiglia di polimeri potenzialmente cancerogeni, mutageni e reprotossici

iodopropinil butilcarbammato: un fungicida e battericida, sospettato di essere un interferente endocrino

acido formico: un acido sospettato di essere interferente endocrino

benzalconio cloruro: un ammonio quaternario (disinfettante, tensioattivo), molto tossico, irritante e inquinante

didecildimetilammonio cloruro: un ammonio quaternario molto irritante e inquinante, Agisce danneggiando i doppi strati lipidici delle cellule, ed è ampiamente utilizzato come disinfettante, igienizzante, conservante e deodorante.

alcool grasso decil etossilato: è potenzialmente inquinante

benzoato di denatonio: tossico e inquinante (rende amaro il prodotto, è la sostanza più amara conosciuta, basta 1g in 2000 litri, 1mM, 1 milionesimo di mole per litro d’acqua per rendere sensibile l’amaro)

limonene: un profumo, sensibilizzante, irritante e molto inquinante, in natura è presente la forma (R). Quello sintetico è un racemo.

dietil ftalato (DEP): sospetto interferente endocrino,

Skeletal formula of diethyl phthalate

metilisotiazolinone: allergenico, irritante e inquinante

Considerato tutto ciò, gli esperti francesi concludono che Possono essere pratiche ma le salviette vanno assolutamente bandite dai nostri usi. Imbottite di sostanze problematiche e inquinanti, costituiscono un insopportabile disastro sanitario e ambientale.

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