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I “buoni propositi” con la plastica.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 24 dicembre, 2024 - 10:10

Luigi Campanella, già Presidente SCI

La plastica è un esempio concreto che giustifica l’approccio alla Chimica come ad una disciplina a 2 facce: da un lato preziosa per le ricerche in favore della qualità della vita, della salute, della sicurezza della lotta alla fame del mondo ed alle nuove patologie, malattie rare in primis; dall’altro responsabile di sovrapproduzioni, di consumo delle aree verdi, di inquinamento di catene industriali estreme. Riferita alla plastica questa ambiguità da un lato la esalta come materiale leggero, versatile, lavorabile poco costoso, dall’altra come oggetto di abuso, più che di uso, come fonte di rifiuti sempre più diffusi ed estesi, fino a vere e proprie “isole” di plastica, di danno alla salute ed all’ambiente. Così mentre sempre più spesso ci imbattiamo in notizie, servizi e documentari che lanciano un grido d’allarme sulla crescente invasione dei rifiuti di materie plastiche nel nostro ambiente, contemporaneamente non possiamo non prendere atto che indubbiamente le materie plastiche negli ultimi decenni sono divenute indispensabili per la nostra vita quotidiana e per le attività produttive in ogni campo.

Il problema nasce quando gli oggetti di plastica non sono più utilizzati e si trasformano in rifiuti, la loro stabilità chimica li rende scarsamente degradabili e tendono ad accumularsi nell’ambiente, invadendo il suolo, le acque interne, i mari ed anche l’atmosfera. Questo allarme diviene ancora più drammatico se si guarda alla produzione crescente delle materie plastiche che nel 2015 è stata pari a 8 miliardi di tonnellate, metà delle quali disperse nell’ambiente. Per quanto riguarda il futuro, uno studio pubblicato da Science (prevede che, anche adottando sin da ora le migliori tecnologie disponibili per il trattamento dei rifiuti di materie plastiche una notevole percentuale (oltre il 20%) di tali rifiuti si accumulerebbe nell’ambiente, in gran parte nelle acque. Qui l’azione del mare e, negli strati superficiali, della luce contribuiscono al processo già iniziato nell’ambiente terrestre di micronizzazione dei rifiuti plastici con la produzione di quanto viene oggi più temuto da flora e fauna marine le micro e nano-plastiche. Queste sono poi destinate ad entrare nel ciclo alimentare con i conseguenti danni per l’organismo umano.

La maggior parte delle materie plastiche vengono prodotte utilizzando gli idrocarburi fossili come materia prima, assorbendo il 10% circa della produzione totale di petrolio. Esse sono costituite da polimeri, lunghissime catene di molecole semplici (i monomeri) che vengono legate chimicamente tra loro. I monomeri sono costituiti principalmente da carbonio e idrogeno, ed in diversi casi anche ossigeno, azoto, zolfo, fluoro, cloro, ed altri elementi che, essendo diversi da C ed H, nel linguaggio dei chimici vengono detti “eteroatomi”. I legami chimici di tali polimeri sono particolarmente stabili, tanto che un oggetto di plastica ben conservato può rimanere intatto per centinaia se non per migliaia di anni. Per affrontare la complessa problematica dell’accumulo di rifiuti di materie plastiche che coinvolge ormai tutto il pianeta, diverse sono le strategie che sono già praticate o sono state proposte, ma soluzioni definitive non sono ancora state trovate. 

Per decenni i rifiuti di materie plastiche sono stati trattati come tutti gli altri rifiuti, cioè depositati in discariche indifferenziate. Dato che rappresentano una delle frazioni meno degradabili ed hanno un basso peso specifico, le materie plastiche si accumulano sulla superficie delle discariche esponendosi all’azione della luce solare e agli agenti atmosferici che ne producono la frammentazione rilasciando microplastiche nell’atmosfera. 

Anche dopo l’avvento della raccolta differenziata dei rifiuti, la creazione di discariche specifiche per i rifiuti di materie plastiche non porta particolari vantaggi; infatti esse anche se ben gestite, comportano comunque una crescente occupazione di suolo e di spazi.

Un’altra pratica, che riguarda il destino di una notevole percentuale dei rifiuti di materie plastiche è quello di bruciarle. Nei Paesi più attenti all’ambiente la combustione di materie plastiche direttamente nell’aria è severamente vietata perché altamente inquinante, ma è diffuso l’utilizzo di inceneritori che abbattono le emissioni inquinanti e sfruttano il calore prodotto per generare energia elettrica o per impianti di teleriscaldamento. Tale processo viene detto “recupero di energia” (energy recovery) e sembrerebbe una buona idea, ma, essendo le materie plastiche composte principalmente da carbonio, comporta una massiccia produzione di CO2, che per ragioni climatiche è da evitare e, nel caso di impianti mal funzionanti, c’è anche il rischio di produrre piccole quantità del tossico ossido di carbonio. Negli anni più recenti si è imposta come soluzione ideale per il trattamento dei rifiuti di materie plastiche il cosiddetto riciclo. Tale termine racchiude però una realtà complessa. Il riciclo ideale consiste nell’ottenere dai rifiuti una materia prima identica o molto simile a quella originale che si può riutilizzare un numero illimitato di volte, come accade per i metalli ferrosi o l’alluminio. Purtroppo per i materiali plastici il riciclo ideale è problematico, perché richiede una rigorosa selezione dei rifiuti stessi (per esempio, anche se la composizione chimica di una bottiglia di plastica e del suo tappo sono identiche, il tappo ha una densità superiore e dovrebbe essere usato per produrre solo altri tappi) e perché spesso la frantumazione o altri trattamenti producono un degrado chimico o meccanico del materiale di partenza e quindi il prodotto riciclato non possiede più le caratteristiche originali.

Se ciò accade, il numero di ricicli è limitato (talvolta è addirittura uno solo) ed il riciclo serve solo a ritardare il problema dello smaltimento definitivo del rifiuto.

Alcuni utili suggerimenti per affrontare il problema dei rifiuti di materie plastiche possono essere forniti dal modello di economia circolare, che sta progressivamente subentrando al modello lineare cercando di correggerne le disfunzioni consumistiche.

Vi sono diversi modi di definire l’economia circolare. Secondo un documento della Commissione dell’Unione Europea, approvato nel 2019, l’economia circolare è:

un sistema che ha lo scopo di eliminare i rifiuti, riutilizzando e riciclando i prodotti, risparmiando risorse e proteggendo l’ambiente. Uno sguardo ai sistemi viventi ed a come operano per mantenere cicli sostenibili per l’ambiente consente di allargare il concetto di economia circolare: dopo avere completato il loro ciclo vitale il destino degli scarti dei sistemi viventi, oltre ad una componente organica volatile dispersa in aria, acqua e suolo ed una parte bruciata a seguito di eventi naturali, come i fulmini o le eruzioni vulcaniche, consiste nel bio-riciclo sotto forma di residui mineralizzati stabili ed inerti come depositi minerali, barriere coralline.

È urgente trovare delle tecniche sostenibili per trasformare i rifiuti non trattati o non riciclabili in materiali “inerti”, che dovrebbero essere immagazzinati in depositi sicuri, come miniere di carbone e di altri minerali in disuso, o cave impermeabilizzate, da utilizzare come possibili risorse per le generazioni future.

Si potrebbe obiettare che una gran parte dei rifiuti di materie plastiche è già sufficientemente “inerte”, dato che possono durare senza degradarsi apprezzabilmente per centinaia se non per migliaia di anni, se conservate in modo opportuno. Vi sono tuttavia almeno due ragioni per insistere su un trattamento dei rifiuti. In primo luogo, la varietà chimica delle materie plastiche rende il loro possibile uso come materia prima piuttosto difficile e costoso, e quindi sarebbe preferibile immagazzinare materiali più omogenei. Il secondo motivo è che il recupero dell’idrogeno e degli altri “eteroatomi” presenti nelle materie plastiche (fluoro, cloro, zolfo, ecc.) potrebbe contribuire a ridurre, se a non compensare, il costo del trattamento. 

Il problema resta grande e risolvibile solo negli anni con la prevenzione e l’impegno di tutti gli stakeholders coinvolti.

Innanzitutto, bisognerebbe introdurre nei programmi scolastici ad ogni livello come materia obbligatoria l’educazione ambientale e all’interno di essa le problematiche riguardanti l’uso e la sostenibilità ambientale delle materie plastiche. 

In secondo luogo, si dovrebbe fare il possibile per ridurre l’uso di materie plastiche in generale e di incrementare l’uso di quelle biodegradabili, dove possibile. Basti tener presente che circa la metà di tutta la plastica prodotta finora, è stata utilizzata per le più diverse forme di imballaggio e quindi quasi totalmente concepita come “usa e getta”. 

Paradossalmente, si usano dei materiali che potenzialmente possono durare decenni se non secoli per un uso che si esaurisce in poco tempo! Fortunatamente, su iniziativa dell’Unione Europea, dal 1 luglio 2021 è stata vietata, anche in Italia, la produzione di una serie di oggetti monouso particolarmente dannosi per l’ambiente realizzati con materie plastiche non biodegradabili, anche se è consentito l’esaurimento delle (non certo esigue) scorte di magazzino. Dal 2022 è in vigore una tassazione sugli imballaggi alimentari: quindi, almeno in ambito europeo, qualcosa per fortuna si sta muovendo.

Il terzo ambito in cui si può intervenire è quello della “responsabilizzazione” dei produttori, ovviamente non aspettando che avvenga spontaneamente intervenendo con una legislazione che favorisca la sostenibilità ambientale dei prodotti e la loro possibilità di riuso e riciclo.

Biibliografia

(1) United Nations Environment Programme, Converting Waste Plastics into a Resource. Compendium of Technologies. Assessment Guidelines, Division of Technology, Industry and Economic International Environmental, Technology Centre Osaka/Shiga, United Nations Environment Programme (UNEP), 2009. https://wedocs.unep.org/bitstream/handle/20.500.11822/8638/WastePlasticsEST_Compendium_full.pdf?sequence=3&isAllowed=y.

(2) OECD Background Report: Improving Plastics Management: Trends, Policy Responses, and the Role of International Co-operation and Trade, Environment Policy Paper No. 12, OECD, 2018, https://www.oecd.org/environment/waste/policy-highlights-improving-plastics-management.pdf.

(3) IEA, The Future of Petrochemicals. Towards more sustainable plastics and fertilizers, IEA, 2018, https://www.iea.org/reports/the-future-of-petrochemicals.

(4) EASAC, Packaging Plastics in the Circular Economy. EASAC policy report 39, 2020. https://easac.eu/publications/details/packaging-plastics-in-the-circular-economy/

(5) A. O. C. Iroegbu, S. S. Ray, V. Mbarane, J. C. Bordado, J. P. Sardinha, ACS Omega 2021, 6, 19343−19355. DOI: 10.1021/acsomega.1c02760. 

(6) J. Smith, S. Vignieri, Science 2021, 373, 34-35. DOI: 10.1126/science.abj9099.

(7) W. W. Y. Lau, Y. Shiran, R. M. Bailey, E. Cook, M. R. Stuchtey, J. Koskella, C. A. Velis, L. Godfrey, J. Boucher, M. B. Murphy, R. C. Thompson, E. Jankowska, A. Castillo Castillo, T. D. Pilditch, B. Dixon, L. Koerselman, E. Kosior, E. Favoino, J. Gutberlet, S. Baulch, Me. E. Atreya, D. Fischer, K. K. He, M. M. Petit, U. Rashid Sumaila, E. Neil, M. V. Bernhofen, K. Lawrence, J.E. Palardy, Science 2020, 369, 1455-1461. DOI: 10.1126/science.aba9475.

(8) K. Kümmerer, J. H. Clark, V. G. Zuin, Science 2020, 367, 369-370. DOI: 10.1126/science.aba4979.

(9) F. Zhang, Y. Zhao, D. Wang, M. Yan, J. Zhang, P. Zhang, T. Ding, L. Chen, C. Chen, J. Cleaner Production 2021, 282, 124523. DOI: 10.1016/j.jclepro.2020.124523.

(10) Y. A. Hidayat, S. Kiranamahsa, M. A. Zamal, AIMS Energy 2019, 7, 350–370. DOI: 10.3934/energy.2019.3.350

(11) A. K. Awasthi, M. Shivashankar, S. Majumder, IOP Conf. Series: Materials Science and Engineering 2017, 263, 022024. DOI: 10.1088/1757-899X/263/2/022024.

(12) D. K. Bora, MRS Energy & Sustainability 2020, 7, 28. DOI: 10.1557/mre.2020.28.

(13) G. Birarda, C. Buosi, F. Caridi, M. A. Casu, G. De Giudici, L. Di Bella, D. Medas, C. Meneghini, M. Pierdomenico, A. Sabbatini, A. Surowka, L. Vaccari, Environ. Pollut. 2021, 279, 116912. DOI: 10.1016/j.envpol.2021.116912.

(14) K. Min, J. D. Cuiffi, R. T. Mathers. Nature Commun. 2020, 11, 727. DOI: 10.1038/s41467-020-14538-z.

(15) O. D. Agboola, N. U. Benson () Physisorption and Chemisorption Mechanisms Influencing Micro (Nano) Plastics-Organic Chemical Contaminants Interactions: A Review.Front. Environ. Sci. 2021, 9, 678574. DOI: 10.3389/fenvs.2021.678574

(16) R. C. Hale, M. E. Seeley, M. J. La Guardia, L. Mai, E. Y. Zeng, J. Geophys. Res.: Oceans 2020, 125, e2018JC014719. DOI: 10.1029/2018JC014719.

(17) A. Chamas, H. Moon, J. Zheng, Y. Qiu, T. Tabassum, J. H. Jang, M. Abu-Omar, S. L. Scott, S. Suh, ACS Sustainable Chem. Eng. 2020, 8, 3494-3511. DOI: 10.1021/acssuschemeng.9b06635.

(18) X. Zh. Lim, Nature 2021, 593, 22-26. DOI: 10.1038/d41586-021-01143-3.

(19) N. H. M. Nor, M. Kooi, N. J. Diepens, A. A. Koelmans, Environ. Sci. Technol. 2021, 55, 5084. DOI: 10.1021/acs.est.0c07384.

(20) Y. Picó, D. Barceló, ACS Omega 2019, 4, 6709−6719. DOI: 10.1021/acsomega.9b00222.

(21) ISO 15270:2008(en) Plastics – Guidelines for the recovery and recycling of plastics waste, 2008. https://www.iso.org/obp/ui/#iso:std:iso:15270:ed-2:v1:en

(22) G. Lopez, M. Artetxe, M. Amutio, J. Bilbao, M. Olazar, Renew. Sustain. Energy Rev. 2017, 73, 346 –368. DOI: 10.1016/j.rser.2017.01.142.

(23) H. Rubel, U. Jung, C. Follette, A. Meyer zum Felde,. S. Appathurai, M. B. Díaz, A Circular Solution to Plastic Waste, Boston Consulting Group, Boston, 2019. https://image-src.bcg.com/Images/BCG-A-Circular-Solution-to-Plastic-Waste-July-2019_tcm9-223960.pdf.

(24) A. Rahimi, J. M. García, Nature Rev. Chem. 2017, 1, 0046. DOI: 10.1038/s41570-017-0046

(25) I. Vollmer, M. J. F. Jenks, M. C. P. Roelands, R. J. White, T. van Harmelen, P. de Wild, G. P. van der Laan, F. Meirer, J. T. F. Keurentjes, B. M. Weckhuysen, Angew. Chem. Int. Ed. 2020, 59, 15402–15423. DOI: 10.1002/anie.201915651.

(26) European Commission, Implementation of the Circular Economy Action Plan, Brussels, 2019. https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/PDF/?uri=CELEX:52020DC0098&from=EN.

(27) K. Welter, Chem. World 2020, 25 August. https://www.chemistryworld.com/news/designer-plastic-can-be-recycled-over-and-over-again/4012317.article.

Figure da:

https://www.bc.edu/bc-web/bcnews/science-tech-and-health/earth-environment-and-sustainability/the-minderoo-monaco-commission-on-plastics-and-human-health.html

Lo specchio delle abitudini.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 21 dicembre, 2024 - 09:38

Il complesso di composti chimici trasportato dai collettori delle fogne di una città è incredibile. Cibi guasti di tutti i tipi possibili e immaginabili. Schiuma di saponi e detergenti ,medicine gettate via, spezie , aromi, coloranti, inchiostri, cosmetici, sciacquature, candeggianti, resine ed enzimi, e tutti i rifiuti dei processi vitali.

Questa descrizione della composizione di un’acqua reflua, è tratta da un vecchio romanzo della collana Urania. Il titolo è Dalle fogne di Chicago, dove si narra l’improbabile nascita di una creatura gelatinosa che finirà per espandersi per tutta la rete fognaria, e per l’intera città.

Il romanzo è stato scritto nel 1965, e l’elenco dei composti risente del periodo della pubblicazione, e dell’origine statunitense del romanzo.  Col passare degli anni, decreti e regolamenti hanno limitato ( o perlomeno hanno tentato di farlo) le tipologie di scarichi e composti che possono essere conferiti nelle fognature.

Il verificarsi di ingressi anomali negli impianti di depurazione è un fenomeno che continua a verificarsi, analogamente alla barbara abitudine di gettare rifiuti nell’ambiente. Da quando sono diventato pendolare ho notato che gli utenti della ferrovia trovano comodo scaricare bottiglie di plastica e lattine direttamente sui binari. La mia condizione di boomer che ha ricevuto un’educazione di altri tempi, fa sì che la cosa mi provochi un senso di irritazione che gestisco a fatica.

Le acque reflue sono lo specchio delle nostre abitudini, sia in positivo che in negativo. Per molti anni le analisi effettuate sulle acque in uscita dagli impianti d trattamento, hanno mostrato dati alla mano, che la cocaina, un tempo ritenuta la droga dei ricchi, sia diventata uno stupefacente a buon mercato e consumata abitualmente.

L’incipit del libro di Roberto Saviano Zero Zero Zero lo spiega molto bene.

La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l’ha presa per svegliarsi stamattina o l’autista al volante dell’autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale. Fa uso di coca chi ti è più vicino. Se non è tuo padre o tua madre, se non è tuo fratello, allora è tuo figlio. Se non è tuo figlio, è il tuo capoufficio. O la sua segretaria che tira solo il sabato per divertirsi.”

Ma nel cocktail delle acque reflue non vi sono solo i metaboliti della cocaina, come la benzoilecgonina, ma anche quelli dei farmaci più diversi.

Sono state prodotte e sintetizzate una vasta gamma di sostanze, dai comuni antinfiammatori alle pillole anticoncezionali, che migliorano la nostra qualità di vita. Molte di queste sostanze, legali o illegali, vengono parzialmente espulse dal nostro corpo, mantenendo la loro forma originale o trasformandosi in metaboliti, e si accumulano nelle acque, soprattutto in quelle vicine alle aree urbane.

Come ho già scritto molte volte, sia gli impianti di depurazione che i laboratori di analisi al loro servizio, stanno affrontando questa situazione. Utilizzando nuove tecniche tecniche di trattamento, e contestualmente rinnovando la dotazione strumentale dei laboratori.

Lo specchio delle nostre abitudini non coinvolge solo il campo delle acque reflue, ma si manifesta anche nella nostra (parlo dell’Italia), insopprimibile attrazione per il consumo di acqua in bottiglia.

 L’acqua in bottiglia è uno dei prodotti più pubblicizzati, pubblicità suadenti, martellanti, che inducono un bisogno. Tecnica non nuova,  il fine ultimo dei pubblicitari è indurre al consumo.

Ma girovagando per un supermercato di Varese mi sono accorto con molto stupore che una nota marca di acqua in bottiglia, ci ha catapultati direttamente nel futuro distopico, nelle atmosfere descritte in un altro capolavoro della fantascienza sociologica, ovvero I Mercanti dello spazio, romanzo nel quale il protagonista è un pubblicitario.

Fino a ieri la bottiglia di acqua additivata di minerali e proteine, era un prodotto a parte che si aggiungeva nel catalogo delle forniture. Ora non è più cosi, proteine e zinco sono state aggiunte direttamente nelle normali confezioni da sei bottiglie da un litro e mezzo. Non sono riuscito a verificare se questo abbia comportato anche l’aumento del prezzo al litro. L’amara considerazione è quella che l’ufficio marketing aziendale, abbia deciso che l’acqua della fonte da dove si rifornisce per l’imbottigliamento, fonte per altro demaniale su cui si pagano diritti di emungimento ridicoli, sia un’acqua inadatta, di scarsa qualità e che la si debba additivare. Per addolcire la pillola ha indicato di fornire al servizio clienti una recensione, indicazione scritta in minuscolo su una zona dell’imballo delle bottiglie. Non so quanti la noteranno e temo che anche qui l’abitudine prevarrà vanificando ogni azione critica da parte di consumatori.

Tempo addietro scrivendo sul blog ho coniato il termine neoacqua, che non per superbia rivendico. La citazione proviene da Orwell che teorizzò la neolingua.

Chiudo questo post senza alcuna considerazione o suggerimento, davvero non ne sento la voglia. Ma nel filo rosso che in questo post unisce il tema acqua, alla fantascienza, al consumismo e alle abitudini non posso non fare un ulteriore citazione.

James G. Ballard autore di libri non banali, che immaginò futuri distopici ma che è riduttivo definire unicamente scrittore di fantascienza intervistato sulla sua opera disse queste parole.

La fantascienza è finita come genere, non perchè ha perso, ma perchè ha vinto.

Affermazione che nel caso del filone della fantascienza sociologica è difficile contestare.

Prodotti di ieri e di oggi.5. Dalla Borocillina alla neo-Borocillina.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 18 dicembre, 2024 - 09:54

Claudio Della Volpe

I post precedenti di questa serie sono pubblicati qui, qui, qui e qui).

Un altro farmaco in scatolina metallica che potreste trovare ancora ai mercatini (vuota).

Nel 1942, in piena guerra mondiale, la introdusse sul mercato la Schiapparelli, ditta torinese fondata da Giovanni Battista Schiapparelli (era nato ad Occhieppo Inferiore in provincia di Biella) nel 1825 in società con Bernardo Alessio Rossi, per la produzione di disolfato di chinina con il metodo Pelletier – Caventou; il disolfato di chinina era utilizzato per combattere la malaria, e per molto tempo è rimasto l’unico farmaco in grado di contrastare la malattia.

Schiapparelli era diventato assistente a Napoli e tornò a Torino per partecipare ai moti insurrezionali (Santorre di Santarosa vi dice niente?).

Comunque l’impresa farmaceutica ebbe successo ed è rimasta sul mercato col medesimo marchio per quasi due secoli, ma cambiando recentemente padrone, che è rimasto comunque italiano almeno fino al 2010. E’ diventata successivamente Wassermann ed oggi Alfasigma (da Alfa Wassermann e SigmaTau).

Stiamo parlando della Borocillina.

Come vedete si tratta di un antibiotico, la penicillina G benzatina (mi raccomando penicillina si scrive con una sola n), usata a basso, direi bassissimo dosaggio e per di più in una formulazione orale che oggi non si usa; in Italia sono ammesse solo penicilline G benzatine intramuscolari a dosaggi di milioni di U.I, non 5000, per applicazioni specifiche.

Infatti a causa della sua instabilità a pH bassi il farmaco non viene somministrato se non per iniezione. Comunque il pH del cavo orale è neutro, dunque la penicillina-G era localmente attiva.

La formula esatta della combinazione fra il principio attivo e la sostanza che la salifica (N.N’ dibenziletilendiammina), è riportata nella figura seguente; le due funzioni amminiche reagiscono con i due carbossili, uno per ciascuna penicillina G:

Il sodio borato è notoriamente un antisettico ed astringente, usato anche in altri distretti organici. Si tratta in effetti di sodio tetraborato: Na₂[B₄O₅(OH)₄]·8H₂O.

L’amilocaina cloridrato è un anestetico di sintesi, il primo mai usato, sintetizzato nel 1904, derivato della cocaina, conosciuto anche come stovaina ed usato ancora nel Dentinale una pasta per trattare il mal di denti, insieme con il sodio benzoato che ritroveremo più avanti.

Amilocaina o stovaina.

Il mentolo e l’eucaliptolo sono comuni in preparati per via orale, il primo è il (-)-mentolo un alcool terpenico molto interessante.

Wikipedia ci informa che:

è presente in natura solo un diastereoisomero degli otto possibili.

Il 2-isopropil-5-metil-cicloesanolo è una molecola dotata di 3 centri chirali, che portano a 8 diversi stereoisomeri: di questi otto, quattro sono forme diastereoisomere, conosciute con il nome di mentolo, neomentolo, isomentolo e neoisomentolo. Non esistendo un centro di inversione o un piano di simmetria, nessuna delle forme è una forma meso, cosicché ognuno dei quattro diastereoisomeri ha un corrispondente enantiomero. Tuttavia l’unica forma che possiede un effetto rinfrescante è l’isomero (1R-2S-5R), mentre gli altri isomeri non mostrano tale effetto.[3]


Il (-)-mentolo è il più stabile delle quattro forme: infatti presenta una configurazione “a sedia”, con i sostituenti in posizione equatoriale che protendono verso l’esterno, e con il gruppo isopropile in posizione trans rispetto al gruppo alcol e metile. Questa disposizione relativa dei gruppi minimizza il loro reciproco
ingombro sterico; negli altri stereoisomeri l’ingombro sterico reciproco tra i gruppi è maggiore.

Il mentolo è una sostanza di origine naturale ma data la grande richiesta viene di fatto sintetizzato e costituisce un ottimo esempio di molecola organica che ha le stesse proprietà pratiche di quella naturale, MA non è esattamente identica ad essa. E perché mi direte voi? Ha la stessa formula! Certo rispondo io, ma come abbiamo detto in altri post il mentolo sintetico è differenziabile da quello naturale tramite due cose:

e in secondo luogo

Scusate ma l’argomento mi sta a cuore; trasportati dall’impeto di difendere la nostra amata materia nelle polemiche contro il chemical free, trascuriamo a volte qualche dettaglio; si, le formule sono identiche ma le sostanze chimiche pure non sono schemi molecolari, ma sono comunque entità macroscopiche costituite da un numero enorme di molecole e non mancano mai (e ripeto MAI) né di impurezze né di isotopologhi (molecole IDENTICHE ma con differente contenuto isotopico o anche aggiungerei orientamento di spin).

Questo non comporta quasi mai differenze pratiche, anche se come sapete esistono metodi e regole legali per distinguere gli isotopologhi (ad esempio l’alcol etilico e chi usa idrogeno liquido deve stare attento all’orientamento di spin).

Ma torniamo alla nostra borocillina.

Dopo la seconda guerra mondiale ha cambiato nome e soprattutto composizione posizionandosi fra i farmaci da banco e abbandonando l’antibiotico.

Abbiamo così la neo-Borocillina che continua ancora oggi ad essere presente sul mercato con un intero gruppo di prodotti di diversa composizione; di questi ne ricorderemo solo alcuni.

Una delle cose che mi ha colpito è che mentre nella borocillina storica il saccarosio era sempre presente in questa nuova viene a volte a mancare, forse perché inizia a farsi strada l’idea che lo zucchero non è sempre utile o necessario.

Vediamo la composizione come cambia; è un farmaco da banco l’antibiotico è assente, altrimenti, a parte la problematica sulla sua effettiva utilità in quel formato, nascerebbe l’esigenza della ricetta. Sulla utilità della penicillina G orale non ho trovato lavori scientifici, ma soprattutto è da dire che oggi la penicillina per uso orale è diventata la penicillina V, usata in dentistica con il problema dell’uso ripetuto, a causa della breve emivita, cosa che c’era anche nel caso della G, che veniva consigliata infatti con una posologia ogni 1-2 ore. Inoltre questo è anche un esempio dell’uso improprio degli antibiotici fatto in passato; oggi un antibiotico da banco sarebbe inconcepibile dati gli enormi problemi di farmacoresistenza che abbiamo, ma in passato la cosa non era ben compresa e la spinta produttiva e commerciale l’ha avuta vinta su tutto

Una pastiglia di neoborocillina contiene 2,4 Diclorobenzil Alcool 1,2 mg; Sodio Benzoato 20 mg (equivalente a 17 mg di Acido benzoico). Magnesio stearato, silice precipitata, mentolo, menta essenza, eucaliptolo, citrale, aroma peppermint, aspartame, polivinilpirrolidone K30, mannitolo.

Un’altra cosa che notiamo di passaggio è il grande dettaglio di composizione, obbligato dalle regole moderne, nella vecchia composizione si parlava ancora di Aromi q.b.!! Vi faccio anche notare come si espliciti la presenza di menta essenza oltre al mentolo, tecnicamente cambia ben poco, ma è forse una strizzata d’occhio alla moda pseudo naturalistica moderna?

Veniamo all’essenziale: troviamo due prodotti attivi di fatto:
2,4 Diclorobenzil Alcool e Sodio Benzoato; a cosa servono?

2,4-Dichlorobenzyl alcohol - WikipediaIl primo ha un leggero effetto disinfettante ed (in combinazione con altre molecole) è stato dimostrato deattivare il virus sinciziale e quello del SARS-Cov, ma non i comuni adenovirus o rinovirus. Mentre il secondo (sigla legale E211) è un comune conservante del cibo poiché inibisce la crescita dei micro-organismi, probabilmente legandosi agli amminoacidi. Dunque due blandi antimicrobici, ben diversi dal potente, ma scarno antibiotico della prima formulazione.

Entrambe le molecole sono di sintesi e sono ampiamente usate in una quantità di applicazioni quotidiane anche non farmacologiche. In altre formulazioni della neoborocillina sono aggiunti altri prodotti che, caso per caso, ne esaltano certe azioni, ma sinceramente sono troppi per poterne discutere qui

Diciamo che omaggiamo il marchio Schiapparelli per il ruolo che ha avuto nella chimica farmaceutica italiana e anche perché, dopo tutto, è ancora almeno in parte italiano, una piccola industria che non si arrende. Da consultare:

il sito Schiapparelli che fa pubblicità al proprio prodotto, ma fa anche un po’ di storia

https://www.neoborocillina.it/storia/

e poi una delle bibbie dei vecchi farmaci, molto ben fatta

https://blog.libero.it/lfde/9808151.html

Contrasto debole al cambiamento climatico.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 14 dicembre, 2024 - 10:10

Vincenzo Balzani, prof. emerito UniBo

(comparso su Bo7 dell’8 dicembre 2024)

Le Conferenze delle Parti sul clima (Cop) sono incontri negoziali annuali, organizzati dalle Nazioni Unite, per arginare la crisi climatica. Queste conferenze sono iniziate nel 1994 e sono giunte alla ventinovesima edizione, conclusa il 22 novembre scorso a Baku, Azerbaijan. In alcune di queste conferenze si sono raggiunti importanti risultati, primo fra tutti l’accordo di massima fra 195 nazioni nella Cop21 di Parigi nel 2015 per limitare il riscaldamento globale a non più di 1,5°C, per porre termine all’uso dei combustibili fossili entro il 2035 e per costituire un fondo di 100 miliardi di dollari al fine di far fronte ai danni causati dal cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo. Di fatto, però, le emissioni globali di gas serra sono state in continuo aumento e le previsioni indicano che nel 2100 il riscaldamento globale supererà 2,9°C, con disastrose conseguenze.

La Cop29 si è svolta in un insieme di condizioni sfavorevoli: in uno Stato (e quindi con un presidente della conferenza) molto interessato alla produzione di combustibili fossili; alla presenza di 1700 lobbisti dell’«Oil& gas», più numerosi della somma dei delegati dei dieci Paesi più vulnerabili; con tensioni geopolitiche per motivi storici fra Azerbaijan e Francia e con la ri-elezione negli USA del presidente Trump che ha minacciato di ritirare la delegazione americana. La Cop29 avrebbe dovuto contribuire al conseguimento, almeno parziale, del «New collective quantified goal», un piano di aiuti finanziari che i Paesi più industrializzati e, quindi, più responsabili del cambiamento climatico, dovrebbero fornire ai Paesi meno sviluppati e più danneggiati. Uno studio indipendente, compiuto da tre economisti di vaglia, ha stimato il fabbisogno dei Paesi in via di sviluppo in 1.000 miliardi di dollari annui a partire dal 2030 e 1.300 miliardi annui a partire dal 2035. Fin dall’inizio, però, si è capito che i Paesi sviluppati non avevano alcuna intenzione di fornire somme così ingenti. È iniziato, quindi, un difficile negoziato terminato alle tre di notte dell’ultimo giorno.

Si è riconosciuto che i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di 450-600 miliardi di dollari all’anno, ma ne riceveranno solo 300 fino al 2035. Questa somma, che è tre volte quella dell’accordo di Parigi del 2015, verrà fornita, però, solo in parte dai bilanci dei Paesi donatori e, per il resto, da «altre fonti» non meglio definite, sotto forma di prestiti agevolati o da finanza privata. Tale conclusione è stata fortemente e giustamente contestata dai Paesi meno sviluppati, particolarmente dai piccoli stati insulari che sono quelli in maggior pericolo a causa del cambiamento climatico. È ormai evidente che le conferenze Cop non sono più adatte per raggiungere l’obiettivo di porre fine al cambiamento climatico, tanto è vero che un gruppo di autorevoli scienziati e politici, guidati dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, ha inviato una lettera aperta a tutti gli Stati per procedere a una riforma delle Cop. Tra i firmatari della lettera figurano l’ex segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e l’ex presidente dell’Uncff, Christiana Figueres.

Chimica, etica e PNRR.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 11 dicembre, 2024 - 09:58

Luigi Campanella, già Presidente SCI.

Il rapporto della Scienza con la società civile e la sua crescita economica e sociale è oggetto di lunghi dibattiti a partire dall’antica Grecia e dai primi insegnamenti di Etica, intesa come Scienza del comportamento. Per alcuni settori della Scienza questo aspetto diviene particolarmente drammatico in quanto sono in gioco vite esposte a epidemie, a patologie gravi, a menomazioni e disabilità.

Si pensi alla brevettazione di farmaci, uno dei temi più caldi e mai estintisi: si confrontano una tesi filo-tecnologica che vede nel brevetto uno strumento di finanziamento della ricerca e di conseguente crescita dell’innovazione e quindi del mercato ed una tesi sociale che vede nel brevetto un limite alla possibilità che un farmaco possa contrastare certe patologie senza alcuna differenza per le reali disponibilità economiche che possono o non possono renderne possibile l’acquisto.

L’Europa in relazione a questo problema ha fatto un passo in avanti lanciando il mercato unico dei farmaci con la riduzione da 10 ad 8 anni del diritto di brevetto la semplificazione ed accelerazione delle procedure di autorizzazione oltre che lo sviluppo dei bugiardini elettronici, ma la difesa del brevetto resiste a queste pressioni sociali. L’industria farmaceutica lo ritiene fondamentale anche ai fini della capacità di innovazione. Si può obiettare con molte argomentazioni circa la politica speculativa di questi ultimi anni da parte del settore. Farmaci per le malattie rare spesso colpevolmente trascurati, circa il perdurante sovradimensionamento rispetto al potenziale uso raccomandato delle confezioni medicinali, circa le finalità quasi esclusivamente economiche nella scelta dei mercati di sviluppo, circa la scarsa attenzione alla gestione dei rifiuti e scarti medicinali, alla non sempre chiara posizione rispetto al problema degli effetti collaterali.

C’è poi da denunciare la scarsa incisività delle azioni in favore di diete equilibrate e poco costose che, attraverso i principi nutrizionali e protettivi della funzionalità introdotti, possono ridurre il ricorso a farmaci: si pensi ad antiossidanti, vitamine, antimicrobici presenti in numerosi comuni alimenti.

La Politica è chiamata ad attenzionare il settore affinché dove non arrivano l’etica e l’economia possa arrivare lo stato sociale a difesa delle comunità più deboli ed esposte. La XII Commissione Affari sociali ha svolto le audizioni informali, in sede di Atti dell’Unione Europea, della proposta di direttiva recante un codice dell’Unione relativo ai medicinali per uso umano e della proposta di regolamento sull’autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano.

Nell’ambito della discussione congiunta delle risoluzioni in materia di sicurezza delle cure e dei pazienti e di contrasto alla medicina difensiva, ha anche svolto le audizioni di rappresentanti della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO) e della Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche (FNOPI).

La medicina di precisione, in particolare il monitoraggio terapeutico dei farmaci (TDM), è essenziale per ottimizzare il dosaggio dei farmaci e minimizzare la tossicità. Tuttavia, gli attuali metodi TDM presentano dei limiti, tra cui la necessità di operatori esperti, il disagio del paziente e l’incapacità di monitorare i cambiamenti dinamici dei livelli del farmaco. Negli ultimi anni, i sensori indossabili sono emersi come una soluzione promettente per il monitoraggio dei farmaci. Questi sensori offrono una misurazione continua e in tempo reale delle concentrazioni di farmaci nei biofluidi, consentendo una medicina personalizzata e riducendo il rischio di tossicità e sono destinati a diventare componenti essenziali dei sistemi sanitari, soddisfacendo le diverse esigenze dei pazienti e riducendo i costi sanitari. Correlate a quanto detto in termini di utilizzo ottimale dei farmaci, senza sprechi nè carenze, nè eccessi sono alcune problematiche ambientali riferite allo smaltimento di scarti e rifiuti nei comparti ambientali rispetto ai quali quando la natura non è capace di rimediare sono soltanto le tecnologie e la ricerca scientifica a potere rimediare.

Composti organici ed inorganici, molecole e macro-molecole, solventi e detergenti, biocidi e pesticidi, vecchi e nuovi pericoli per la salute: i depuratori non sono attrezzati per rimuovere queste componenti che pertanto finiscono nell’ambiente e da qui possibilmente nella catena alimentare. Questo obbliga a considerare con attenzione sia l’aggiornamento dei depuratori sia la loro integrazione con dispositivi innovativi. Il tema è ulteriormente complicato dalle condizioni planetarie e sociali caratterizzate da una crescente polarizzazione sociale sia temporale che spaziale su basi sociali (paesi poveri e paesi ricchi), economiche (paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati), demografiche (paesi ad alti tassi di natalità e paesi con progressiva diminuzione della popolazione).

Questa polarizzazione ha obbligato ad individuare nuovi indici di valutazione che tengono anche conto del nuovo modello dell’Economia, da lineare a circolare. La globalizzazione conferisce a tutti questi problemi il carattere planetario. Così accordi internazionali, accordi bilaterali quadro, regolamenti e direttive diventano necessari.

Con riferimento all’Europa la Next Generation EU e la sua proiezione italiana PNRR rappresentano gli strumenti messi a disposizione per utilizzare i quali dal nostro Paese in ambito sia pubblico che privato la Medicina e Chimica possono e devono svolgere un ruolo primario. Il PNRR in accordo con agenda ONU e ottavo Programma per l’ambiente stabilisce i criteri ambientali minimi per nuovi insediamenti che si basano su principi e modelli di sviluppo dell’economia circolare.

Per documentarsi:

https://www.sace.it/education/dettaglio/officine-pnrr-chimica-e-farmaceutica-evoluzioni-sfide-e-opportunita

Fai clic per accedere a PolInd3-_Progetto-Riciclo-Chimico-PNRR.pdf

Fai clic per accedere a 2024_1_15_ca.pdf

Pelle, cuoio e zampogne

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 8 dicembre, 2024 - 09:42

Biagio Naviglio

Introduzione

Qualche giorno fa passeggiando per le strade di Ercolano ho incrociato due zampognari che suonavano la novena per le case e i negozi; ho notato che la zampogna era costituita, a mio avviso, da una pelle non conciata, con il lato carne adeguatamente scarnato/pulito, rivolto all’esterno. Il giorno dopo per le strade di Somma Vesuviana ho incontrato altri due zampognari che suonavano con una zampogna identica a quella notata ad Ercolano. In questo caso ho avuto modo di toccarla e di chiedere il tipo di pelle usato e se fosse stata conciata. La risposta dello zampognaro è stata che la pelle era di capra ma non sapeva se fosse stata conciata. In ogni caso la curiosità mi ha spinto ad approfondire l’argomento la cui sintesi è riportata qui di seguito.

La zampogna è uno strumento musicale di origini popolari, più precisamente pastorali; l’Italia è famosa per la sua lunga storia legata a questo strumento ed il Natale è anche legato al suono delle zampogne. I primi zampognari, i suonatori di zampogna, erano spesso pastori che utilizzavano questo strumento per allietare le lunghe giornate trascorse a pascolare il bestiame sulle colline e nelle valli.

I pastori, durante la transumanza, portavano con sé le zampogne, costruite con pelle di capra e legno, e nei momenti di pausa erano soliti intonare dei veri e propri concerti. Si esibivano soprattutto in coppia: il più anziano suonava la zampogna, il più giovane la ciaramella.

Figura 1: Zampognari con abbigliamento tipico

Ad esempio le calzature, denominate ciocie, sono tipiche di contadini e pastori dell’Italia centro-meridionale, robuste ed adatte per camminare su campi lavorati e su percorsi impervi, resistenti e ben ancorate alla gamba; in tal modo lasciavano grande libertà di movimento nel lavoro.

Le ciocie sono composte da un triangolo di cuoio chiuso sul davanti, leggermente a punta che costituisce la suola e da stringhe di cuoio, le ‘corregge’, che girano intorno alla gamba; generalmente queste calzature sono indossate con le “pezze” cioè fasce di tessuto bianco che avvolgevano tutto il piede. Il plantare di cuoio era leggermente curvato a forma quasi di barchetta e le stringhe erano flessibili, ed avvolgevano il polpaccio fino al ginocchio; a corredo delle ciocie si indossavano calzini di lana bianca per proteggersi dal freddo.

Origini della zampogna

Sulle origini degli strumenti musicali alimentati a sacco e in particolare sulle zampogne non si hanno fonti certe, tuttavia alcune ipotesi fanno risalire al I secolo d.C. l’esistenza, a Roma, di uno strumento musicale con riserva d’aria, chiamato “utriculus”, suonato anche dall’imperatore Nerone. Le origini mitologiche di questo strumento lo fanno risalire a Pan, divinità del pantheon greco: per metà capra e per metà uomo, il dio Pan era protettore delle montagne e della vita agreste. Pan era anche amante della musica e oltre a suonare il suo famoso flauto, formato da canne di diversa lunghezza unite tra loro, decise un giorno di aggiungervi un’appendice: una sacca di pelle, chiamata otre.

Cos’è la zampogna

Con il termine zampogna si fa riferimento generalmente all’insieme degli strumenti musicali il cui suono viene prodotto per mezzo della vibrazione dell’aria, contenuta in un serbatoio flessibile interposto fra la bocca del suonatore e più aerofoni ad ancia. La riserva d’aria è contenuta in un sacco (tradizionalmente di pelle animale di origine prevalentemente ovina e caprina); detto sacco (otre) consente sia di ritenere una quantità d’aria sufficiente ad alimentare le canne sonore mentre il suonatore riprende fiato sia di alimentare più di una canna sonora contemporaneamente. In figura 2 è rappresentata una zampogna con i suoi elementi costitutivi.

Figura 2: Elementi costitutivi della zampogna

La zampogna è formata da canne inserite in un otre di pelle che costituisce il serbatoio dell’aria. La pelle animale, ad esempio quella di capra, conservata mediante salatura ed essiccazione, viene montata con il lato pelo all’interno e il lato carne all’esterno. La zampogna è costruita con materiali naturali (legni, ricavati da piante da frutto, otri in pelle, ance in fibra vegetale, ecc.) fortemente igroscopici e non sempre trattati con procedimenti di impermeabilizzazione; può, quindi, essere soggetta alle condizioni atmosferiche locali ed in particolare ai tassi di umidità contenuta nell’aria.

Le zampogne italiane montano un sacco per la riserva dell’aria, che viene ricavato da pelle animale trattata, il sacco, definito “otre”, viene interposto tra la bocca del suonatore e le ance dello strumento che, quindi, si caratterizza per l’insufflazione indiretta dell’aria. Il suo utilizzo è necessario per gestire contemporaneamente la pressione dell’aria all’interno delle canne sonore in modo svincolato dall’insufflazione del suonatore, consentendo allo stesso di recuperare il fiato in maniera naturale ma soprattutto indipendente dall’esecuzione. In figura 3 è mostrata una zampogna simile a quella visionata durante le passeggiate di qualche giorno fa.

Figura 3: Zampogna con otre di pelle di capra non conciata

L’otre, nella Bibbia, è il contenitore ricavato da pelli di capra o pecora, cucite e conciate adeguatamente, per trasportare i liquidi necessari alla vita quotidiana: l’acqua, il vino, il latte e l’olio. Per i beduini che camminavano a lungo nel deserto l’otre era il “pozzo portatile” perché conteneva l’acqua necessaria alla sopravvivenza.

Anticamente per fare un otre si partiva da una pelle animale stabilizzata in qualche modo; si cucivano tutte le aperture meno una. Il collo o forse la sporgenza di una delle zampe rimaneva scucita e serviva da apertura, che poteva esser chiusa con un tappo o con una corda.

Pelli di pecora, capra e a volte di bue, erano usate allo scopo e, in certi casi, si lasciava il pelo sulle pelli che servivano per conservare latte, burro, formaggio e acqua. Una concia più accurata era necessaria quando gli otri servivano per l’olio e il vino. Quando la pelle dell’otre non era conciata dava un sapore sgradevole all’acqua che conteneva. In figura 4 si riporta un esempio di otri usati nell’antichità.

Figura 4: Otri di pelle usati nell’antichità

Concia delle pelli per gli otri

Non ci sono riferimenti specifici per la concia delle pelli dell’otre; la concia all’allume (allume di rocca – solfato doppio di alluminio e potassio dodecaidrato), verosimilmente, è stata ed è quella più utilizzata per questo tipo di utilizzo. La pelle della zampogna da me visionata non era conciata ma, probabilmente, stabilizzata mediante conservazione con cloruro di sodio e successivamente essiccata. Nell’antichità gli otri pieni di vino venivano a volte appesi dove potevano essere affumicati per proteggerli da insetti o per conferire rapidamente al vino certe caratteristiche desiderate; nell’antichità la frase «sono diventato come un otre al fumo» è, verosimilmente, riferita al metodo di concia per affumicazione (concia prevalentemente di tipo aldeidico).

Bibliografia

  1. Massarelli C., Analisi delle zampogne italiane e sviluppo di uno strumento musicale elettronico che ne recupera le caratteristiche, Tesi di laurea specialistica, corso di laurea in Ingegneria del cinema e dei mezzi di comunicazione, Politecnico di Torino, Dicembre 2019
  2. Ebook realizzato dalle classi prime, scuola secondaria di primo grado, Castrovillari, Alla scoperta di lire e zampogne a Tiriolo
  3. Gioielli M., L’utriculus – la zampogna degli antichi romani, Extra, 42/2009
  4. Bravo A., Storia del cuoio e dell’arte conciaria, Torino 1964

COP29

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 4 dicembre, 2024 - 16:00

Luigi Campanella, già Presidente SCI

Le ultime 3 edizioni delle COP si sono tenute in 3 Paesi produttori di petrolio e la prossima si terrà in Brasile rispetto a cui si possono fare 2 riflessioni, è anch’esso un Paese produttore di petrolio ed inoltre è il Paese da cui preliminarmente alle COP, nel 1992 è partita la cooperazione internazionale (oggi partecipata da 200 Paesi) a fini di contrasto ai cambiamenti climatici: si torna al punto di partenza ma cosa è cambiato in questi 30 anni?

Questa premessa di per sè non fa ben sperare ed infatti qualcuno ha commentato il risultato della COP29 (svoltasi alla presenza di quasi 2000 lobbisti del fossile, 27 dei quali accreditati dal ns Paese) come allontanamento dall’allontanamento dai combustibili fossili. Purtroppo il risultato positivo più significativo è solo quello dell’accresciuta sensibilizzazione che però non ha potuto scavalcare le differenze fra Paesi Industrializzati, i giganti economici del nostro tempo, e i Paesi in via di sviluppo, i primi neanche sempre presenti e, se presenti, pronti a chiedere restrizioni e restringimento energetici ai secondi.

Nella COP di quest’anno è entrata in misura determinata la finanza pubblica messa a disposizione dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluippo, quantificata in 300 miliardi, appena il 25%di quanto ad essi richiesto dagli altri (lo speciale contributo atteso dalla Cina non è arrivato). Questo contributo dovrebbe fungere da investimento per sostituire le centrali a carbone, per proteggere le foreste, per fare crescere l’economia. Viene subito da chiedersi ma se i Paesi industrializzati devono realizzare le nuove centrali in quelli in via di sviluppo, con il vantaggio previsto di vedersi contabilizzate le riduzioni di emissioni, chi poi in Europa costruirà nuove centrali a eolico o solare?

Politicamente si deve registrare alla COP 29 l’assenza di Paesi gigante come USA, rispetto alla quale la recente elezione di Trump non sembra potere incidere positivamente se si pensa alla possibile riconsiderazione di questa assenza e della conseguente riduzione delle emissioni. Tale elezione ha anche dato voce a Paesi come Argentina, Azerbaijan, Paesi Arabi di certo non impegnati nelle fonti rinnovabili e nella lotta all’effetto serra. A margine della COP è emersa una proposta per superare questa difficoltà politica creando un organismo rappresentativo finalizzato ad azioni concrete, quelle che purtroppo di COP in COP vengono aggiornate rispetto a dati ed obiettivi, ma stentano a divenire risultati concreti.

È stato dato come traguardo al 2030 un aumento max di 1,5 gradi: siamo già a +1,47!!

Per documentarsi:

Finanziamenti e meccanismi di supporto all’azione climatica: alcuni risultati della COP29

Gomme da masticare o da degradare?

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 1 dicembre, 2024 - 09:56

Claudio Della Volpe

Ho ripreso l’abitudine di masticare gomme perché mi capita di mangiare dove poi non posso pulirmi i denti; e allora preferisco, anche se il risultato è considerato non ottimale, di usare le gomme non zuccherate per pulire la bocca; a parte che lo si può fare quando si vuole e nel momento opportuno, per esempio senza perdere quel gusto del caffè post-prandiale che per me è un vizio e manco occulto.

Giorni fa mi sono preso una bella rimproverata da mia moglie (che forse ricorderete è chimico anche lei) perché volevo liberarmi della gomma residua gettandola nell’organico; “devi gettarla nel residuo”; “ma come –dico io– non è una sostanza degradabile?”, “no- dice lei-, in genere è sintetica”; discussione inevitabile con successiva ricerca su internet e grandiosa vittoria della consorte!

Questo mi obbliga a fare un post, come successe sulla stiratura.

E così ho scoperto la gomma di base o gum base di cui riporto la composizione qui sotto.

https://it.wikipedia.org/wiki/Chicle

A sinistra vedete una tipica composizione della gomma da masticare e a destra quella del componente residuo che vi rimane in bocca dopo che l’avete masticata. Come vedete si tratta essenzialmente di materiali di sintesi. E dunque mia moglie aveva ragione. Sono materiali di sintesi (polimeri (ossia poli-isobutilene e poli-vinilacetato), cere, altri componenti anche minerali), poco degradabili; secondo la letteratura (https://www.nature.com/articles/s41598-020-73913-4 , https://onlinelibrary.wiley.com/doi/abs/10.1111/jtxs.12793 e https://medcraveonline.com/MOJPS/MOJPS-02-00051.pdf ) ci vogliono anni per degradare questa mescolanza di materiali in Natura e nel frattempo su di essi cresce uno specifico set di batteri non necessariamente amichevoli, con conseguenze non solo ambientali ma di salute.

Non parliamo poi dell’eliminazione dei residui di gomma da pavimenti o tessuti; non è a costo zero e non necessariamente è facile da realizzare, dipende dal contesto; dunque sempre smaltire le gomme masticanti come residuo e mai lasciarle in giro, sotto i tavoli, o per terra (in Inghilterra calcolano che praticamente tutte le strade del regno sono sporche di gomma da masticare).

Ma come si è sviluppata questa situazione?

In realtà le gomme da masticare sono molto antiche, almeno in alcune parti del mondo.

Una breve storia delle gomme da masticare la trovate qui.

In sostanza sono state inventate per così dire, addirittura millenni aC in sud America sfruttando il prodotto della linfa di un albero, la Manilkara chicle, una pianta della famiglia delle Sapotaceae, diffusa nei paesi dell’America centrale e in Colombia. Dalla sua corteccia, e da quelle di altre specie congeneri, si ottiene il chicle, lo speciale lattice usato in passato come materia prima per le gomme da masticare.

La raccolta del chicle.

Questo uso si sviluppò durante l’800 specie negli USA. D’altronde prodotti analoghi furono usati anche in Europa fin dal tempo dei Greci; in particolare la resina o mastice di Chio divenne famosa allo scopo di rendere piacevole l’alito, ma con una diffusione limitata fino a tempi moderni (a Chio c’è addirittura un museo dedicato a questa resina estratta dal lentisco (Pistacia lentiscus), una tipica pianta mediterranea e il mastice di Chio è oggi un prodotto europeo DOP).

Un albero di Pistacia lentiscus nella zona nord del suo areale mediterraneo, Nervi, in Liguria.
A partire dalla seconda guerra mondiale (quando le gomme da masticare entrarono nelle dotazioni degli eserciti anglosassoni) le gomme sintetiche a base di butadiene hanno sostituito la gomma da masticare naturale fornita da questo albero, poiché erano più economiche.

E da allora si sono diffuse nel mondo cominciando a costituire un problema ambientale vero e proprio (fra i 20 e i 50 miliardi di dollari l’anno il valore totale del prodotto) .

Oggi ci sono sul mercato anche gomme di origine naturale, come quelle fatte con prodotti così diversi come il vecchio chicle, ma anche cera di api e altri prodotti simili, ma non sono facili da trovare anche grazie al prezzo stracciato delle gomme “comuni”, che però non sono biodegradabili.

Quelle sintetiche potrebbero essere riciclate, ovviamente ma con quali costi? Dopo tutto anche la gomma degli pneumatici lo è ed ha una composizione non del tutto dissimile (però in quelle da masticare manca la vulcanizzazione).

Novità sugli ftalati.

BLOG: LA CHIMICA E LA SOCIETA' - 28 novembre, 2024 - 13:44

Luigi Campanella, già Presidente SCI

L’EPA ha rilasciato la sua valutazione di rischio per il diisononilftalato (DINP o anche DiNP), uno ftalato a catena lunga introdotto per sostituire quelli a catena corta considerati più pericolosi per la loro attività di modificatori endocrini; difatti gli ftalati a basso peso molecolare (DEHP , DIBP, DBP e BBP) sono considerati tali dal 2017 ed inclusi in REACH.

DINP è tipicamente una miscela di composti chimici costituita da vari esteri isononilici dell’acido ftalico ed è comunemente utilizzato in un’ampia varietà di prodotti in plastica.

La valutazione parte dall’analisi dei 2 settori industriali interessati a questo composto e dall’impiego comune di esso che inducono a fare questa valutazione a fronte dei 45 usi in precedenza individuati. I rischi maggiori derivano dalla tossicità epatica del DINP che per elevati livelli di esposizione può portare alla formazione di tumori. DINP può nuocere al sistema riproduttivo maschile con una patologia nota come sindrome dello ftalato. Circa la tossicità ambientale la valutazione di EPA é più incerta, anche perché EPA non considera DINP un agente pericoloso al livello di diffusione fra la popolazione. Questa valutazione sorprende visto che gli ftalati sono considerati molecole estremamente facili da disperdere, tanto che tracce di ftalati sono state identificate in Himalaya o nelle isole dell’oceano Pacifico, luoghi probabilmente raggiunti da acque piovane condensate in nubi e contaminate altrove. L’uso principale del DINP è quale plasticizzante del PVC, oltre ad essere impiegato nella produzione di materiali per l’edilizia e per l’elettronica, di combustibili, adesivi, sigillanti, vernici. Nella scheda di valutazione non vengono considerate le possibili, ma sconsigliate, applicazioni in cosmetica e come materiali per il packaging alimentare.

L’esposizione dei lavoratori può avvenire o usando il DINP oppure nella produzione; il fine vita del DINP è in genere nei sedimenti profondi di laghi e nei fiumi come scarto e rifiuto, oppure come componente del particolato atmosferico che, inalato, rappresenta la strada di contaminazione dell’organismo umano.

EPA ha preliminarmente valutato che il primo irragionevole rischio per i consumatori deriva dall’impiego del DINP per coprire i pavimenti, sorta di similtappeto, particolarmente pericoloso per i bambini. Per quanto riguarda i lavoratori il rischio maggiore deriva dall’uso in condizioni non protette di spray adesivi, vernici, coloranti.

EPA nella scheda di valutazione dichiara di non essere stata in grado di indicare i prodotti contenenti DINP presenti in questi spray e che si attende un impegno della PA in questa direzione. A proposito di vie di esposizione EPA dichiara anche di non essere in grado di valutare gli effetti del packaging alimentare con materiali contenenti DINP e delle diete, soprattutto femminili e giovanili, in quanto non regolamentati.

Gli utenti appellandosi alla Direttiva per il controllo delle Sostanze Tossiche (TSCA) possono chiedere ad EPA una valutazione sulla tossicità dei propri prodotti al pari di quanto già avvenuto per il di-isodecilftalato. Anche per questo composto EPA ha suggerito come utilizzarlo e come ridurre i rischi all’utenza derivanti dalla esposizione. Tali linee vengono trasmesse al SACC (Science Advisory Committee on Chemicals) che finisce per agire da referee del lavoro svolto da EPA,con conseguente accresciuta attendibilità dei suoi contenuti.

NdB: Data la complessità del tema accludiamo per informazione alcune conclusioni di altre istituzioni

  • Le conclusioni dell’ECHA sono state nel 2022: L’ECHA ha concluso che non si può escludere un rischio derivante dalla masticazione di giocattoli e articoli di puericultura con DINP e DIDP non può essere escluso se la restrizione esistente fosse revocata. Non sono stati indicati rischi ulteriori. Queste conclusioni sono state sostenute dal Comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA (ECHA 2013a), valutazione dei rischi dell’ECHA (ECHA 2013a,b).

Sulla base della valutazione del rischio contenuta nel presente rapporto, si può concludere che non ci sono evidenze che giustifichino un riesame della restrizione esistente su DINP e DIDP nei giocattoli e negli articoli per l’infanzia che possono essere messi in bocca dai bambini (restrizione bambini (restrizione di cui alla voce 52 dell’Allegato XVII del regolamento REACH).

  • Scheda informativa sugli ftalati dell’Ufficio federale svizzero per la sanità pubblica (2021):

 https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://www.bag.admin.ch/dam/bag/it/dokumente/chem/themen-a-z/factsheet-phthalate.pdf.download.pdf/factsheet-phthalate_it.pdf&ved=2ahUKEwjZ9unC7P6JAxXehP0HHSDRLx4QFnoECBYQAw&usg=AOvVaw1NBwtzraLBGTmJne9jj9EN

ACS Spring 2023 in Indianapolis

Chemical News - 30 marzo, 2023 - 22:33
Lots to celebrate at ACS’s fourth hybrid meeting

Aramco expands petrochemical presence in China

Chemical News - 30 marzo, 2023 - 21:49
Oil giant strikes 2 big deals as China-Saudi relations improve

This machine learning model takes MOF simulations to the next level

Chemical News - 30 marzo, 2023 - 21:03
The MOFTransformer model takes inspiration from the same technology that powers ChatGPT

Making biologics on demand

Chemical News - 30 marzo, 2023 - 18:53
Systems make flipping the switch on biopharmaceutical production faster and easier, potentially enabling personalized medicine

Albemarle attempts to buy Australian lithium miner

Chemical News - 30 marzo, 2023 - 14:02
Liontown Resources has rejected the $3.7 billion offer

Fast-food packaging can emit volatile PFAS

Chemical News - 29 marzo, 2023 - 20:15
Study suggests polymers with fluorinated side chains degrade into toxic fluorotelomer alcohols

Cinven beats Ineos to buy MBCC Admixtures

Chemical News - 29 marzo, 2023 - 18:42
UK competition authority is forcing Sika to find another buyer

Small molecule treats multiple sclerosis in rodents

Chemical News - 29 marzo, 2023 - 12:47
Compound inhibits receptor associated with signaling in certain cells in the central nervous system

Oil is more likely to stick around in a cold, sunny ocean

Chemical News - 28 marzo, 2023 - 22:12
Photochemical weathering could make oil spills more viscous and less able to disperse or dissolve in seawater at low temperatures

Advisory panel recommends accelerated approval for ALS drug

Chemical News - 28 marzo, 2023 - 18:57
Despite a failed clinical trial, experts agree that the biomarker data reasonably predict benefit for patients

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